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I pensieri dell'Altrove

La Melagrana dei giorni irrequieti

La cura dei pensieri e dei ricordi che tornano è la stessa che si ha per alcune assenze. Mancanze come strappi che io provo ad abbracciare con un vulnerabile e pericoloso gioco del cuore

La Melagrana dei giorni irrequieti

La melagrana è nella fruttiera, la fruttiera è sul tavolo della cucina. Il bambino piange, deve fare le operazioni di aritmetica e non vuole lasciare i cartoni animati giapponesi nel mezzo di un combattimento per la conquista di una stella invisibile. L'aria ha i colori d'autunno, fulminanti al tramonto, in un cielo che si fa da parte per accogliere la curva pomeridiana del sole. Nella stanza il taglio della luce è caldo, sbatte contro i vetri colorati di una porta e ne fa un ricamo sofisticato, nel cono che vedo fra il raggio e il pavimento c'è una scia densa di corpuscoli di polvere. Si muovono continuamente, se infili un dito e lo agiti le particelle si scompongono in un movimento disordinato e caotico, escono fuori dalla traccia e le perdi di vista. Così minuscoli, iridescenti e collerici, basta un soffio timidissimo e già scappano senza approfondire il perché. È incorreggibile, l' andamento delle cose che non vediamo ma che sono intorno a noi, ci attraversano come i neutrini senza darci dolore, ci invadono le case e partecipano alle nostre cerimonie quotidiane. Penso a quella melagrana aperta a metà, ai suoi chicchi sparsi nella fruttiera che mi sembrano perfetti e liberi, li copro con un foglio di carta assorbente perché loro non lo sanno, ma i corpuscoli dorati del fascio di luce sicuramente sono arrivati o stanno per arrivare anche lì. Oltre il raggio in cui si muovono e in cui si fanno vedere, ora posso immaginare che lo spazio ne sia pieno, quasi saturo di polvere danzante che non conosce misure e non produce rumori. In quel lontano pomeriggio di autunno il pensiero era denso, a tratti aveva impulsi disperati ed era sanguigno, come i chicchi della melagrana coperta. Era un pensiero che si spingeva oltre i vetri di un balcone, oltre il pianto del bambino, dei cartoni animati, oltre il raggio e la geografia. Scavalcava le colline e arrivava lontano, in un posto che sistema il dolore con le cure ed il male con le preghiere. In un luogo in cui ti giri intorno ad una malattia, ad un accidente della vita, ad un pretesto incomprensibile, ad una impotenza avvitata stretta fra il combattimento estremo e la morte. Il pensiero, in quei giorni di ottobre, andava spesso lì, a volte diventava ossessione, si fermava con impotente compassione su quella bellissima faccia innocente che portava inconsapevolmente, nascosto dietro la pelle, il suo feroce destino. Si appoggiava con paura su quegli occhi appannati, si mutava in una carezza dolcissima su quelle gambe giovani, ma già stanche di andare.
Ad ottobre il cielo ci fa i regali della mitezza, sospende giudizi troppo caldi o troppo freddi, e noi ci affidiamo ad una sorta di pacata riconciliazione con la natura dopo il trambusto estivo ed il gelo livido che presto arriverà. La cura dei pensieri e dei ricordi che tornano è la stessa che si ha per alcune assenze. Mancanze come strappi che io provo ad abbracciare con un vulnerabile e pericoloso gioco del cuore, con una domanda, la stessa, senza alcuna risposta, con i dubbi delle vicende subite, con un filo di dolore acuto e inamovibile dal posto in cui sta e in cui resterà per sempre.
Il sole di ottobre di oggi, di adesso, è dolce, le foglie viola e bordeaux stanno silenziosamente cadendo dal tiglio, le rondini sono andate via, il bambino è cresciuto.
La melagrana di questo pomeriggio non è in una fruttiera, la tengo fra le mani come una cosa scomoda e preziosa, come una notizia ormai passata ma ancora non scordata, come un segreto d'amore tragico e permanente. Come un ammasso di giorni vuoti rubati dal cielo, di preghiere inutili, di mani chiuse nel freddo del tempo eterno. La melagrana è un film finito e mai capito. È qui fra le dita ed i ricordi spietati. È rossa, rotonda, piena. Acre. Appesa e spaccata. Come questo dolore solido, appiccicato al cuore con una aderenza fisica ed assoluta.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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