IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
22.01.2017 - 10:57
È dal ventiquattro agosto che l'Appennino si muove, si spacca, non smette di dare morte e spavento. Uno pensa: dopo le prime scosse forti ci sono quelle più accettabili, così ci hanno detto e così si spera. Ora abbiamo capito che non funziona così, il terremoto arriva senza comunicazioni di servizio, semplicemente si manifesta. Quando le sue energie potenti e interrate esplodono non c'è alcuna benevolenza nei confronti di nessuna terra, nessun paese, nessuna stagione. In questi giorni di freddo intenso, in cui la popolazione colpita ad agosto si vede costretta a vivere nelle roulotte per non abbandonare il bestiame o quelle residue attività rimaste, fa impressione che la natura si accanisca così crudelmente e che oltre all'emergenza neve arrivino ancora scosse così violente da piegare qualunque voglia di essere positivi. Resistenza, reattività, adattamento, resilienza. Bisognerebbe entrare dentro ad ognuno di questi stati, farci una casa sicura e pensare di salvarsi passando costantemente da una stanza all'altra. Con disinvoltura e sapienza, conoscendo gli angoli di ogni ambiente per andare a recuperare forza, speranza, energia. Bisognerebbe pensare che questo momento passerà, che non può nevicare sempre, che le faglie dell'Appennino la smettano di contagiarsi e si fermino, in un posto qualunque, ma si fermino. Bisognerebbe applicare la regola della lucidità, che non trascina nella rabbia o nella disperazione, che aiuta ad avere la capacità razionale, condizione senza la quale tutto il dentro e il fuori di noi può apparire incontrollabile e devastato. Bisognerebbe. Ma penso a questi fratelli scioccati, esausti, impauriti, soli nei loro pensieri e nelle loro notti. Penso a duecento scosse in due giorni soltanto, penso alla condensa e all'umido che fanno di una roulotte una sauna malsana, penso alla frantumazione di ogni certezza, di ogni progetto, di qualunque pausa di rilassamento, penso che ogni gesto, ogni decisione è obbligatoriamente concentrata sul momento, divagare sarebbe una inutile dispersione di forze. La vita a volte è una trappola e la gabbia è stretta, fredda, pure traballante. Tuttavia, usciremo da queste tragedie ed entreremo, come è nel nostro stile, in un'altra trappola: quella delle polemiche e dello sbarellamento delle responsabilità. Poi, chissà quando, arriveranno dei moduli abitativi adeguati, chissà quando saremo in grado di costruire bene invece di subire e di morire, chissà quando saremo capaci di mettere tempestivamente in moto la macchina dei soccorsi, in modo coordinato, per andare a salvare persone schiacciate da tonnellate di neve in un hotel e che da giorni chiedevano di liberare la strada per poter andare via. Certo, da ogni esperienza drammatica si può imparare a fare meglio, ma non so perché, ho come la percezione che noi siamo un popolo generoso, geniale, con attitudini spiccate verso l'improvvisazione, la musica,la poesia, la simpatia; diamo il meglio quando agiamo 'di pancia', quando siamo sotto stress, quando deve prevalere l'impeto piuttosto che la ragione. Ma, in senso generale, non siamo un popolo 'di testa', a noi la fredda ragioneria non piace, se ci mettiamo intorno ad un tavolo per contrattare, per programmare, sette volte su dieci si finisce per litigare o, alla meglio, per discutere con toni accesi. Poi, magari, si va tutti a mangiare la pizza o, su una veranda sul mare, un italico spaghetto allo scoglio.. Ad ogni popolo il suo dna, nel nostro noi ci tramandiamo, molto fedelmente, quello della commedia dell'arte.
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