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I pensieri dell'altrove

Quegli spazi vuoti tra i vicoli appartati della testa

Sono i fatti ordinari del mondo invecchiato, di un cuore attaccato alle vene e alla fortuna per non vedersi morire, sono i pensieri sottovoce, le facce bianche della notte e le voci della compagnia.

Quegli spazi vuoti tra i vicoli appartati della testa

Avevo trovato degli spazi vuoti, fra un'ora e l'altra della notte, fra un passato appena passato ed una musica che si era infilata fra i vicoli appartati della testa. Erano luoghi che si erano fatti dimenticare, si erano spostati, non li trovavo più. Eppure li sentivo affezionati come lo si può essere ad un viso familiare, ad una casa vecchia che ci ha visto nascere, ad una mano che conosci, ma che ad un certo punto si appoggiano in una stanza sospesa e forse lì riposano interrotti e lesionati per poi tornare interi. Erano lì, collegati al niente e scandalosamente trasparenti, spazi senza colore e senza ardore, solo un respiro come una scia leggera. Ogni spazio una domanda da accontentare, un impossibile da capire, un armistizio da stabilizzare. Nessuna certezza di riuscirci, neppure di arrivare ad avvicinarsi a qualcosa di definitivo o certo, nessuna convinzione di poterli scaldare o riempire, di sentirli ancora parenti o dimenticarli per sempre, di strapparli dai muri della memoria piena e farne aria da regalare al vento, di renderli inutili per non sentirli ostili o di fargli una festa ubriaca da ricordare fra un anno, con le fotografie a colori e le suggestioni evaporate. Niente, non mi veniva niente. Nè da organizzare nè da evitare. Gli spazi vuoti li sentivo lenti, sembravano in prestito per una gioia futura da incorniciare o di una sciagura da seppellire, chissà, ma non avevo entusiasmo da far decollare o idee strepitose da poter realizzare. Così ho pensato di lasciarli lì, dove li avevo trovati. Sono miei, sono cassetti della mia traccia invisibile, sono quei luoghi candidati ai segreti ed ai silenzi ingombranti, sono quelle stanchezze che non è elegante esporre, sono le delusioni e le suture, le paure, le partite perse, le esagerazioni e le scarsezze. Sono le cose. Le mie cose, sorelle di quelle di tutti gli altri, anche delle tue che adesso sei qui fra le mie parole. Sono i fatti ordinari del mondo invecchiato, di un cuore attaccato alle vene e alla fortuna per non vedersi morire, sono i pensieri sottovoce, le facce bianche della notte e le voci della compagnia.
Nel tempo che avrò e mi sarà dato, forse un giorno, in quegli spazi distratti eppure così densi e lucidi, io queste cose me le sistemerò. Forse.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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