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I pensieri dell'Altrove

Avete mai guardato negli occhi la vecchiaia?

Ognuno ha addosso la vita che pesa e che invece di trasportare ora vuole essere trasportata, ognuno ha milioni di emozioni accumulate, un lungomare interiore denso di immagini, gli sbattimenti personali con i lutti, i dolori, gli spaventi.

Avete mai guardato negli occhi la vecchiaia?

Prendersi cura della vecchiaia è cosa ancora più faticosa dell'impegno che uno ci mette a prendersi cura della vita. Rinunciare in modo progressivo a degli stati di autonomia, ad alcuni modelli di certezze quotidiane, e rendere chiaro a se stessi che il monopolio della giovinezza si sta esaurendo è tanto inevitabile quanto doloroso. In giro per reparti per un problema agli occhi di mio padre, comune a molti suoi coetanei, ho incontrato e ho osservato la vecchiaia. La vita biologica degli uomini si è allungata, la medicina aiuta e conserva, ma l'opacità delle azioni, delle percezioni, dei gesti, è difficile non poterla notare. Seduti, meglio dire afflosciati su poltroncine blu logore e sfilacciate, lo sguardo annacquato, con una mobilità scarsa (a prescindere dal fatto che si fosse in 'oculistica'), le spalle ristrette, le mani secche unite fra di loro, in un tentativo tenero di farsi coraggio e compagnia. Il corpo asciugato, coperto dal pudore dell'insicurezza, dal senso del disarmo, dagli abiti pesanti. Abiti invernali, perché loro sì che rispettano le stagioni, mica come i giovani post moderni che pure con cinque gradi di temperatura hanno la t-shirt sopra la pancia, la schiena scoperta senza la nostalgica maglietta 'intima' (che tenerezza) e i jeans strappati qua e là senza mostrare neanche un accenno di timore al vento gelido che ti sferza le parti di cosce scoperte, magari livide, ma ovviamente senza calze. È la giovanile insolenza verso le sfide al mondo, al momento, agli adulti, ma anche alle stagioni. La bellezza dell'esuberanza buona, quella che vuole mostrare, come in una prova muscolare, tutta la caratura del proprio carattere e della propria persona se non fosse che poi tutti i comportamenti portano la firma omologata del gruppo di appartenenza. Nella vecchiaia si è invece portatori consapevoli delle proprie solitudini e delle singole identità, ognuno ha addosso la vita che pesa e che invece di trasportare ora vuole essere trasportata, ognuno ha milioni di emozioni accumulate, un lungomare interiore denso di immagini, gli sbattimenti personali con i lutti, i dolori, gli spaventi. Le vedo tutte (sempre perché sono in 'oculistica'), queste corpose retrospettive, attaccate sulla pelle diventata sottile e sgranata, fra i ganci delle protesi dentali quando ridono, fra i capelli senza più colore, nei gesti faticosi delle braccia. E poi quando si alzano da queste poltrone un po' sgangherate, li vedo che dovevano essere alti, robusti, belli, qualcuno anche spocchioso, e qualcuna solida, superba come una montagna e altera come una regina, li vedo che ora si appoggiano a chiunque mentre, più indietro nel tempo, forse qualche appoggio l'hanno pure schifato. Li vedo e mi spingo a pensare che è ora che cominci anche io a 'vedermi' in un futuro che tanto futuro remoto non è più. Se ci arriverò. In quel caso non so se sarò così accomodante da accettare tutto, e se sì, nel caso fossi rimasta lucida, che tipo di vecchia insopportabile sarò. Ma una cosa è certa: sarò furiosa quando mi accorgerò che anche per me sarà avvenuta la rovinosa frana del cosiddetto 'lato b'. Perché questo lo vedo come il segno indiscutibile di un percorso discendente verso la decomposizione del tono muscolare che mostra senza pietà quei miserabili vuoti di carne e gluteo che non puoi più rimpolpare. Il tutto esaltato cinicamente da quell'ammosciamento fisiologico del tessuto dei pantaloni che, non avendo più nulla da contenere, scivola incontrovertibile verso una parabola discendente. Ecco, se ci arrivo, quel momento sarà per me il test più efficace, ancor più della caduta delle cataratte o dei capelli bianchi, delle scarpe ortopediche o delle protesi dentarie, per capire che sto a pieno titolo nella vecchiaia. Sprofondata nella legge della gravità uguale uguale a quelle scofanate e consumate poltroncine blu.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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