IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
06.03.2016 - 10:24
La foto della baby-sitter islamica con la testa del bambino decapitato a Mosca, diffusa dal quotidiano Rt
E in questi precipizi è comune scordarsi l'essenza e l'essenziale, cioè che nasciamo tutti così... che abbracciare un bambino è ricordare alla pelle cos'è la magia della tenerezza. Scordiamo tutto perché è più facile annaspare col niente o con il vago.
Ogni giorno c'è un qualcuno che esce da casa, o da un negozio, da un ufficio, da un bar, da una fermata di metropolitana. Quasi sempre quel qualcuno ha in mano qualcosa, tipo una borsa o un ombrello se piove, oppure dei sacchetti se ha fatto compere, certamente il telefonino, ma non è mai accaduto che in strada si vedesse sventolare fra le mani, come carta di giornale, la testa di una bambina. Ecco, questo è stato in assoluto un momento di annientamento. È accaduto in Russia, qualche giorno fa. Le immagini trasmesse dalla tv erano opportunamente schermate, ma era chiara la dinamica, era evidente il gesto, era osceno il fatto. Questa donna che urlava "Allah è grande" e camminava in maniera confusa fra la gente avrebbe potuto anche solo urlare il suo nome che già sarebbe sembrata un po' 'disordinata', e quell'invocazione esagitata aveva in sé quasi un messaggio di rivendicazione, di vendetta, di odio. Ma poi no, era soltanto, e dire soltanto mi pesa assai, una espressione di ordinaria follia. Un'esplosione a tradimento da un fuoco amico, visto che era la baby-sitter della povera piccola, ma non c'è rimedio alcuno dinanzi a movimenti di sconnessioni estreme, nè la possibilità di risarcimenti, seppure parziali, nè si può stare a discutere più di tanto. Non servirebbe. Non so se il momento lucido del mondo sta evaporando insieme a qualche scia chimica, o se c'è un'epidemia circolare di infelicità mortifera, non so se l'effetto emulazione trova seguaci solo nel trucido, non so neppure se si tratti di universale tendenza ad una inconscia estinzione di noi stessi. Cadiamo a piombo come ingovernabili schegge in circoli di delirio, urliamo con le voci sgraziate dalla disperazione collettiva, per vincere le paure usiamo il terrore, per abituarci alla ferocia adoperiamo la violenza. Quell'urlo, quella voce che partiva dal vortice di un'anima devastata, a me é sembrata la voce del dolore del mondo. È il fiato ammorbante di un disagio degli uomini che non sa guarire, è la potenza del disamore e la sofferenza del sentirsi troppo soli in un mondo troppo pieno di vuoti. E in questi precipizi è comune scordarsi l'essenza e l'essenziale, cioè che nasciamo tutti così, uguali e nudi, bagnati dallo stesso sangue caldo e partoriti dalla stessa carne di femmina, che tutti veniamo dallo stesso antico, umido profondo, che facciamo tutti quello stesso primo pianto, con la vita che esce dall'acqua ed entra nell'aria che brucia. Che ci sbattono le vene se scivoliamo dentro ad un'emozione, che ci trema il cuore per uno spavento, che si allargano di commozione gli occhi dinanzi alla bellezza, che abbracciare un bambino è ricordare alla pelle cos'è la magia della tenerezza. Scordiamo tutto perché è più facile annaspare col niente o con il vago. Scordiamo noi stessi perché così ci pare di allontanare anche le nostre tragedie, le stentate sopravvivenze, gli ingorghi bui che ci restano attaccati come i nodi permanenti dell'ombelico. Eppure la vita è tutta qui e adesso, è disponibile, invisibile, un po' ruvida puttana e un po' signora misericordia, con la vocazione alla passione che qualche volta suda nelle nostre mani e con le ultime, vitali risorse che meritano i superstiti. È vero, è incomprensibile e incompiuta, a volte sembra una storia stupida, altre volte un compito astratto, ma segue umanamente la sua traccia: mortale, inquieta, fenomenale e unica, per molti versi ripetuta e, esattamente come noi, irrimediabilmente arresa all'Infinito.
edizione digitale
Il Mattino di foggia