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I pensieri dell'Altrove

Al volante dei pregiudizi

Al volante dei pregiudizi

"Le donne non sanno guidare". C'è tutta una consistente, antipatica letteratura, un sottobosco di convinzioni, una certezza pretestuosa che continua a screditare una parità tanto necessaria quanto delicata. Il diritto ai bonus per avere l'ambiziosa attestazione di una guida giusta è, manco a dirlo, stabilito dai maschi, le attitudini imperative devono essere: non stare appiccicate con le facce al vetro anteriore, scioltezza nel dribblare le auto come i giocatori fanno con la palla durante una partita, furberie varie con graditi eventuali apporti personali nel traffico cittadino, strombazzamenti di clacson che devono essere irruenti ed esplicativi come imprecazioni verbali, infrazioni costanti dei limiti di velocità, gare di egocentrismo sulle autostrade perché la macchina mia ha più cavalli della tua, la finta agli incroci, che si manifesta come un ruggito o una zampata tanto per intimidire l'avversario (e cioè l'automobilista di fronte o al lato), e infine la prova regina: avere la capacità dello scatto vincente per evitare, un secondo prima, l'accensione del semaforo rosso. Come  se si avesse sempre addosso lo spasmo agitato di chi sta correndo al più vicino pronto soccorso. Semaforo rosso che però non è mai veramente rosso, per lo scafato automobilista, è un misto soggettivo di colori, è una misura cromatica strettamente relazionata alla velocità dell'accelerazione, alla impazienza, è un'equazione di prontezza e sfida; per quanti il rosso è un colore che non c'è solo perché "è scattato mentre ci passavo"?  Eppoi i parcheggi. Quando c'erano i posteggiatori se arrivavi (tu donna) con un'auto un po' più lunga di una poltroncina li vedevi cambiare espressione, indecisi nel darti l'aiutino (non richiesto) oppure esageratamente premurosi nel farti segnali con le braccia come gli assistenti su una pista di aeroporto dinanzi ad un 747 in fase di atterraggio. Una volta, con una macchina lunga, ho fatto un parcheggio assolutamente perfetto, in uno spazio misurato al centimetro e in una sola manovra. Quando ho deciso che avrei parcheggiato lì ho visto prima diffidenza con un pizzico di cattiveria, dopo un po' preoccupazione, alla fine aspettava il tonfo o, almeno, lo spiaggiamento sul marciapiede. Quando sono scesa mi ha guardata, mentre pagavo gli ho chiesto "che c'è"?, l'ho visto a disagio con se stesso e gli ho letto limpidamente i pensieri(ni). Non ero un uomo, guidavo una macchina da uomo, avevo compiuto un'impresa da uomo e il mio atteggiamento non voleva commenti, poiché non c'era nulla da commentare. Pregiudizi e luoghi comuni quindi, perché si confonde la prudenza con l'arroganza, la correttezza con la prevaricazione, le buone maniere con le sciatterie comportamentali. Comunque, tanto per dire: a me piace molto guidare, non mi stanco e non ho paura di sera, ho fatto anche viaggi lunghi, ho il sedile molto indietro, sono sveglia nel traffico, so dribblare, ho un po' 'il piedino pesante', agli incroci sono una sportiva, ai semafori una brava "scattista" e qualche volta, con gli imbranati uomini, gesticolo pure... Quindi, io so guidare. Oppure, ma questo non lo sapevo, io sono un maschio.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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