Non c’è pace per la donna più ammirata al mondo, la “Gioconda”. Se fosse vivente spopolerebbe su tutti i tabloid e si aggiudicherebbe le copertine più glamour dei rotocalchi di moda. Lungo la sua vita poi le è successo di tutto: è diventata una icona pop, ha portato i baffi, ha bevuto acqua liscia e gassata, si è sigillata la bocca con dello spago e chi più ne ha più ne metta. Ma lei, nonostante questo valzer mediatico, rimane bella come il sole, senza un segno del tempo (che passa eccome pure per lei) e con tanti spasimanti adoratori. Tanti ma tanti che la si clona in ogni dove, da viva e da morta, ovunque; poi si ricostruiscono le sue spoglie mortali e la si vede sdoppiarsi anzi no, triplicarsi con un inconsueto dono dell’ubiquità. Ma lei sghignazza e sono già 500 anni che se la ride alle nostre spalle mentre rincorriamo ipotesi ed enigmi che si celerebbero dietro la sua apparente tranquillità. Incastonata tra due flebili colonne e illuminata dalla luce di centinaia di migliaia di flash, oggi scopre di non essere più sola al mondo. No, no. Ha una gemella. Senza doversi lambiccare il cervello a cercare di emularla, la twin è in una collezione privata di San Pietroburgo, lontano dai clamori della cronaca a godersi l’anonimato e le cure di un nobiluomo kazako. E quando si dice uguali come due gocce d’acqua, non si va poi così lontano dalle Nostre. Le due si somigliano davvero tanto ed ora è arrivata anche la prova del carbonio 14, fatta su tela e pigmenti, a confermare che hanno la stessa età anagrafica. O forse no? Quella russa sembrerebbe più giovane, un tantino più avvenente dunque ma meno consapevole della sua bellezza eterea. Già qualche anno fa, per la verità, era comparsa sulla scena una Gioconda “adolescente” a Ginevra, della quale i proprietari sostengono l’autenticità. Ma, in merito a questa, è addirittura il celebre leonardista Silvano Vinceti a sostenerne la paternità del pittore di Vinci. La riprova arriva dunque dallo stesso studioso che è a caccia del sepolcro della modella nei sotterranei di un ex convento nel centro di Firenze. Vinceti che ha avuto modo di ammirare la tela dal vivo, ritiene che possa essere stata davvero dipinta da Leonardo che qui, come nella “prima” del Louvre, ha le mani più scure del viso, tratto tipico dello stile del maestro. Ma ci sarebbero anche ragioni stilistiche a conferma della pure clamorosa e forse azzardata attribuzione. Vasari infatti racconta di una riproduzione della “Gioconda” con le colonne che fu realizzata da un giovanissimo Raffaello, dopo che aveva visto un bozzetto della stessa nella bottega fiorentina di Leonardo. Insomma il giallo continua ma il fascino rimane invariato e la seconda ipotesi, quella della gemella più piccola, la russa per intenderci, non è solo affascinante ma è anche probabile considerando l’esistenza di un altro celebre doppio leonardesco: la “Vergine delle rocce”. Questa esiste in due versioni, una conservata nelle Gallerie del Museo del Louvre e una conservata alla National Gallery di Londra. Anche qui la replica non toglie niente all’originale anzi è difficile stabilire un primato anche in quanto a primogenitura. Forse quella inglese è più fresca e dipinta negli anni del soggiorno a Firenze come la centralità della figura del San Giovannino (San Giovanni è il patrono della città del giglio) sottolineerebbe. Persino i colori più brillanti nell’una che nell’altra pala centinata, creano una gemella eterologa più che omologa. A Parigi tutto si scompone, il tratto diventa pastoso e le luci si intorbidiscono, l’atmosfera diviene alchemica e la cromia da decisa si declina in delicati passaggi tonali. Lo sfumato leonardesco si trasforma qui in “sfumatissimo”. La stessa differenza si coglie tra le due “gioconde” quella russa più vicina alla Vergine di Londra e la parigina più vicina all’altra sempre al Louvre. Anche la così detta “Madonna dei Fusi” è nota in una versione in collezione privata newyorkese e in una proveniente dalla collezione del Drumlaring Castle, oggi in prestito alla "National Gallery of Scotland" National Gallery of Scotland ad Edimburgo. Le prove fanno riferimento ad un’opera originale del Maestro di cui, dall’antichità, furono conosciute più versioni citate anche dalle fonti che, nel corso del tempo, hanno ingannato persino i critici più scaltri alla ricerca dell’opera autografa.
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Francesca Di Gioia
Francesca Di Gioia è docente di Arte Sacra e Beni Culturali del territorio presso la Facoltà Teologica Pugliese di Foggia. Si è laureata cum laude in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Istituto di Magistero "Suor Orsola Benincasa" di Napoli. Si è specializzata in incisione presso l'Istituto Nazionale per la Grafica di Roma e si occupa di Grafica d'Arte. E' giornalista pubblicista, collabora dal 2005 con il settimanale "Voce di Popolo". Ha conseguito il Diploma in Biblioteconomia presso la Scuola della Biblioteca Apostolica Vaticana ed è Operatore Didattico dei Musei Vaticani. Ha pubblicato "Invenit, delineavit et sculpsit. Per un approccio alle Arti Grafiche" per i tipi delle Edizioni Il Castello e "Vissi d'arte. Cinque anni di penna appassionata" con le Edizioni del Rosone.