IL MATTINO
AntichiRitorni
23.09.2018 - 00:59
Marco Fabio Quintiliano fu il primo a rivestire una cattedra pubblica a Roma (prima di allora l’insegnamento non esisteva se non in forme private), ovvero finanziata dallo Stato, sotto l’imperatore Vespasiano.
Domenica scorsa ci eravamo lasciati parlando del sistema educativo romano dal profilo didattico, oggi invece mi piace parlare della schola latina dal punto di vista pedagogico. E quando si parla di insegnamento non si può non ricordare il magister per antonomasia, ossia Quintiliano. Marco Fabio Quintiliano fu il primo a rivestire una cattedra pubblica a Roma (prima di allora l’insegnamento non esisteva se non in forme private), ovvero finanziata dallo Stato, sotto l’imperatore Vespasiano. Non solo brillante maestro di retorica e oratore - tant’è che a lui si deve la poderosa “Istituzione oratoria” (un’opera in 12 libri dove tratta della formazione e degli esercizi, nonché delle letture per diventare un ottimo oratore) – ma fu il primo pedagogista ante litteram. Quintiliano, infatti, fu certamente intuitivo nel rivoluzionare la concezione di istruzione ed educazione, attraverso delle idee assai moderne: innanzitutto il rifiuto delle pene corporali e degli insulti che non servono affatto nell’incentivare il ragazzo, anzi a lungo andare gli fanno venire in odio lo studio. In particolar modo: «La severità del maestro non sia opprimente e non esageri nel dare confidenza, per non suscitare da una parte odio, dall'altra disprezzo. Non sia assolutamente irascibile e tuttavia non tralasci le correzioni che si dovranno fare, sia semplice nell'insegnamento. Risponda volentieri a chi pone domande, interroghi di sua iniziativa chi non ne pone. Nel lodare l'esposizione degli allievi non sia né parco né eccessivo, perché il primo atteggiamento genera in loro fastidio per la fatica, il secondo li fa adagiare nella tranquillità. Nel correggere gli errori non sia aspro e non sia assolutamente offensivo: proprio questo, infatti, allontana molti dal proposito di studiare, ossia il fatto che alcuni insegnanti rimproverano come se odiassero. Egli stesso dica quotidianamente qualcosa, anzi molte cose, che gli ascoltatori possano meditare fra sé» (cfr. 2, 2, 1-8). Insomma un buon insegnante deve essere anche un tantino ‘psicologo’ per comprendere al meglio l’indole degli allievi. Sulla questione insegnamento pubblico o privato, Quintiliano si schiera a favore di quello pubblico, perché favorisce i rapporti sociali, in più, stando in un gruppo, l’allievo è spronato all’emulazione e alla sana competizione; invece la chiusura nel ristretto ambiente domestico potrebbe dare adito a presunzione.
Ebbene, a tutt’oggi, si continua a discutere di come debbano comportarsi gli insegnanti, di strategie didattiche e metodi cognitivi, forse dovremmo solo ripartire dalle basi, forse dovremmo solo tornare a leggere i latini per scoprirne la disarmante modernità.
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