IL MATTINO
AntichiRitorni
26.08.2018 - 00:55
Oggi parliamo della strega, una figura che abbiamo certamente citato tante volte nei nostri blog, ma senza mai dedicarle un’ampia trattazione. Nel mondo antico non c’era la figura della ‘strega’ così come la intendevano il Medioevo e l’età moderna, ovvero di una donna dedita alle arti magiche e seguace di Satana, bensì esistevano per lo più delle ‘maghe’, si pensi a Circe, Medea, Erisittone, etc, capaci di compiere degli adynata (“cose impossibili”) e preparare dei pharmaca (“veleni”, “pozioni”) grazie ad un potere fornito loro dalle divinità tramite delle ‘invocazioni’ e dei rituali ben precisi. Tant’è che solo chi conosceva le ‘formule’ e i giusti carmina poteva ‘piegare’, ovvero persuadere e convincere, le divinità al proprio volere. Ad esempio Medea, nipote diretta del Sole, era sacerdotessa di Ecate, dea degli Inferi; in questo caso si tratta di una maga esperta di magia nera, ma all’occorrenza anche gente del popolo praticava la magia. Si pensi alla pastorella, citata nell’VIII Ecloga di Virgilio, che effettua, improvvisandosi maga, un incantesimo d’amore, invocando Venere, per far tornare il suo amato che l’ha abbandonata. Oltre alla magia nera e d’amore, nelle campagne si praticava spesso la magia ‘bianca’ o terapeutica; ad esempio Catone il Censore, nel suo “Sull’agricoltura”, riporta una formula per la lussazione di una gamba, che in sostanza poteva essere eseguita da chiunque se avesse rispettato attentamente il rituale. Da dove viene dunque il vocabolo ‘strega’? La lingua latina per indicare tale figura conosce termini quali venefica (colei che scaglia venefici), malefica, saga e cantatrix (lett. incantatrice), c’è anche striga che però è attestato con questa accezione solo in Petronio. Striga deriva da strix, cioè strige, ovvero un uccello notturno che si riteneva succhiasse il sangue dei bambini (cfr. le testimonianze di Plauto, “Pseudolus” 820 e Orazio, “Epodi” 5,20), che in realtà corrisponderebbe all’allocco (che appartiene appunto alla famiglia degli Strigidi). Nell’antichità si credeva che potessero essere delle vecchie malvage che assumevano di notte corpi di uccelli orrendi per dilaniare i lattanti, stando a Ovidio (“Fasti” 6, 101 ss), mentre Antonino Liberale nelle sue “Metamorfosi” racconta che Polifonte (figlia di Ares) e i suoi figli (avuti dall’amplesso con un orso) si macchiarono di cannibalismo, per questo furono puniti dagli dèi con la trasformazione in strigi. Solo Petronio, come accennato (in “Satyricon” 63), usa il termine striga nell’accezione di “strega”, narrando di come un giovane, essendo stato attaccato dalle streghe, ne colpisce una coprendosi col mantello per evitare di entrare in contatto diretto con l'essere, ma la striga lo tocca ugualmente e basta questo affinché il ragazzo divenga paonazzo e muoia pochi giorni dopo. La testimonianza ci fa capire che probabilmente nel linguaggio popolare il termine era passato da indicare l’uccello malefico a una donna malefica dotata di poteri magici e così questa immagine viene trasmessa al Medioevo che ne fa un’adoratrice del demonio.
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