IL MATTINO
AntichiRitorni
22.07.2018 - 03:12
Pare che nel mondo antico ogni città avesse, oltre al nome col quale era conosciuta, anche un nome segreto noto solo alle divinità e ad alcuni adepti, forse solo al Pontifex Maximus; questo nome non doveva essere assolutamente divulgato perché chi lo conosceva...
Esisteva un tempo in cui per conquistare una città era necessario non solo combattere, ovvero la strategia militare, la forza, il coraggio, ma anche il ricorrere a formule, o meglio a ‘evocazioni’ per la precisione. Ogni buon Romano sapeva bene che tale rito era noto come ‘evocatio’ e che poteva avvenire in due maniere: evocando la/le divinità tutelari di una città e invitandole ad abbandonarne la protezione per trasferirsi a Roma, con la conseguente offerta di templi dedicati e offerte (come si narra fece Scipione l’Africano prima di distruggere Cartagine); oppure, metodo ancora più incisivo, bisognava maledire la città evocandone il “nome segreto”. Ebbene, pare che nel mondo antico ogni città avesse, oltre al nome col quale era conosciuta, anche un nome segreto noto solo alle divinità e ad alcuni adepti, forse solo al Pontifex Maximus; questo nome non doveva essere assolutamente divulgato perché chi lo conosceva aveva potere sulle sorti di quella città (guai se l’avessero saputo i nemici!). Ad esempio, secondo lo studio condotto da Giorgio Ferri**, l’altro nome di Roma era Amor, connesso con la dea Venere, madre di Enea. Spiega Giandomenico Casalino*** che con «l’evocatio essi evocavano la divinità tutelare di quella città, chiamandola, per l’appunto, con il suo Nome che era poi quello esoterico della stessa città. Ciò poteva avvenire soltanto quando conoscendo quel nome e possedendolo, possedevano di conseguenza la res [la cosa in sé] corrispondente; sarebbe a dire la città medesima. D’altronde “vocare” esprime l’idea […] del chiamare con autorità, dell’atto magico per eccellenza che è l’ordinare alla Forza, la quale non può non obbedire a chi possiede la sua essenza: il suo Nome». Questo tipo di rituale se ci pensate bene è molto simile a quello praticato durante i rituali di esorcismo: per stornare la forza dei demoni è necessario conoscerne il nome, se si conosce il nome si ha potere su quel demone e si può scacciarlo. Nel nome dunque è racchiusa l’essenza! Orbene, ad intimare ai Romani di “tenere la bocca chiusa” era la dea Angerona, una divinità forse indoeuropea, che era effigiata con l’indice della mano destra condotto vicino le labbra, quasi ad imporre il silenzio. Ovvero per la cultura latina “il silenzio è d’oro”, ecco perché il buon romano doveva stare attento a non rivelare mai troppo (questo non solo riferito ai ‘segreti’ della città, ma anche ad ogni azione della vita quotidiana) e a ricordarglielo era proprio Angerona il cui culto si teneva il 21 dicembre. La dea, tuttavia, aveva anche altre sfere di pertinenza, difatti il nome Angerona, deriverebbe dal verbo angere, ossia “soffrire, angustiare, affannare”, così che chiunque provasse sofferenze o affanni si rivolgeva a questa dea con la richiesta di aiutarlo a sopportare, a mantenere il silenzio. Sì, perché per il popolo romano non era cosa dignitosa e positiva lamentarsi pubblicamente dei propri guai: si soffre in silenzio. Quante sofferenze silenziose attraversiamo ogni giorno? Chiediamo ad Angerona di aiutarci a sopportare…
** cfr. G. Ferri, Il nome segreto di Roma, in L’onomastica di Roma. Ventotto secoli di nomi, Atti del convegno (Roma, 19-21 aprile 2007), «QuIRIOn» 2, 2009, pp. 45-60.
*** cfr. G. Casalino, Il nome segreto di Roma: metafisica della romanità, Roma 2003, p. 123.
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