IL MATTINO
AntichiRitorni
12.11.2017 - 01:00
Sin da piccoli ci insegnano che l’uomo è stato creato dal fango, o dalla polvere del suolo che dir si voglia, a cui Dio avrebbe conferito il suo alito di vita; così perlomeno si legge nelle Sacre Scritture. Mutatis mutandis, le religioni cambiano ma alcuni elementi restano gli stessi. Leggendo il mitografo latino Igino si scopre che l’uomo (in latino homo) è stato creato in realtà da più divinità. Ebbene, la dea Cura/Preoccupazione un giorno attraversando un fiume notò del fango argilloso e lo plasmò, successivamente chiese a Giove di dare vita (animus) alla creatura da lei creata. Una volta ottenuto ciò, nacque una disputa sul nome da dare all’essere creato; infatti entrambe le divinità volevano chiamarla col proprio nome. Nella contesa intervenne anche la Terra, che insisteva a sua volta che fosse dato il suo nome, dal momento che aveva fornito la ‘materia prima’. Non riuscendo a venirne fuori, le tre divinità decisero di eleggere come giudice Saturno che così sentenziò: «Tu, Giove, poiché gli hai dato lo spirito vitale, ne riceverai lo spirito dopo la sua morte; invece tu, Terra, poiché gli hai fornito il corpo, ne riceverai dopo la morte il corpo; infine poiché Cura/Preoccupazione lo ha modellato, lo possegga finché avrà vita. Ma visto che è sorta una controversia a proposito del nome, lo si chiami uomo (homo) perché è stato fatto dall’humus (“terreno, suolo”). Ecco allora come i nostri antenati latini si spiegavano non solo l’etimologia del nome, ma anche perché il corpo si divide dallo spirito, anticipando la famosa sentenza: «cenere alla cenere, polvere alla polvere» che a sua volta riecheggia Genesi 3,19: «Col sudore della tua faccia mangerai pane finché tornerai al suolo, poiché da esso sei stato tratto. Poiché polvere sei e polvere tornerai». Insomma le religioni cambiano ma i concetti sono gli stessi. I Romani però sono andati oltre e hanno aggiunto al mito della creazione la presenza di Cura, ovvero da una parte la personificazione della preoccupazione, per spiegare che, finché avrà vita, gli affanni saranno compagni dell’uomo; dall’altra la personificazione della cura, intesa come attenzione/riguardo che l’essere umano deve aver per sé. Il mito fu poi ripreso da Martin Heidegger, in “Essere e tempo”, dove il filosofo vede la condizione esistenziale stessa dell’uomo proprio nell’angoscia.
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