IL MATTINO
AntichiRitorni
17.07.2016 - 01:14
I Romani di 2500 anni fa erano concordi nell’attribuire la loro origine ad un eroe venuto dall’est, un migrante, un profugo di guerra anzi, un certo Enea, scampato alla distruzione della sua città (Troia), collocata nell’attuale penisola anatolica. Ne avete sentito per caso parlare?
«… tu di libere genti facesti nome uno» scriveva Carducci. Quando pensiamo alla nostra civiltà, pensiamo al bacino del Mediterraneo, pensiamo alla penisola italica e all’impero Romano, che ha ‘gettato’ le fondamenta su cui si sono sviluppate la società e la giurisprudenza attuali. Ma da dove nasce Roma? Secondo la storia si tratta di un popolo di pastori che intorno all’anno 753 a.C. (data fornita da Varrone) si stanziò nei pressi del Palatino, estendendosi poi ad occupare i famosi sette colli. Tuttavia i Romani di 2500 anni fa erano concordi nell’attribuire la loro origine ad un eroe venuto dall’est, un migrante, un profugo di guerra anzi, un certo Enea, scampato alla distruzione della sua città (Troia), collocata nell’attuale penisola anatolica. Ne avete sentito per caso parlare? Direi proprio di sì, dato che a lui il ‘latinissimo’ Virgilio dedicò il sommo poema di tutta la letteratura latina, compiendo ben più di un piacevole esperimento letterario, dando un’origine ‘divina’ a Roma: ciò che era mito divenne da quel momento storia; la storia di un popolo i cui confini andavano dalla Gran Bretagna al Nilo, dalla penisola iberica al mar Nero. Dichiarare di aver avuto origine da uno ‘straniero’ senza più patria non era un problema per il popolo latino, né lo era accogliere e inglobare all’interno dell’impero chiunque si fosse ‘adeguato’ alle leggi di Roma. Nonostante il cristianesimo ce l’abbia messa tutta per far apparire i Romani un popolo di conquistatori assetati di sangue, che crocifiggevano, sterminavano e soggiogavano qualunque popolo non si fosse sottomesso a loro, è invece risaputo che i Romani furono senz’altro il popolo più tollerante dell’antichità. Proprio questa caratteristica di far confluire a Roma culti, religioni, tradizioni differenti ha rappresentato il punto di forza dell’impero, della sua durata nei secoli e della sua estensione. È noto, infatti, che i latini non avevano remore ad accogliere i culti più disparati, dedicando anche templi a nuove divinità (si pensi al culto egizio di Iside e Osiride, o a quello orientale di Astarte, o ai vari culti misterici); furono, inoltre, i primi ad ‘aprirsi’ ad accogliere nuove filosofie provenienti dalla Grecia (dallo stoicismo al neoplatonismo), così come dai Greci avevano ereditato il pantheon olimpico. Perché mai un popolo così tollerante doveva avercela proprio col cristianesimo? In realtà il problema non era di tipo religioso ma sociale: per mantenere in piedi un impero così vasto era necessario che chiunque vi entrasse a far parte dovesse ‘adeguarsi’ alla burocrazia di Roma, rispettare le sue leggi e il suo modus vivendi e operandi, diversamente sarebbero state minate le fondamenta dell’impero stesso. Chi non riconosceva il governo di Roma e l’autorità dell’imperatore non poteva essere ‘tollerato’. Dunque, sembra che il segreto della vera integrazione l’avessero già trovato i Romani di 2500 anni fa, certamente molto più propensi di noi anche nella concessione della cittadinanza, dapprima estesa a tutta la penisola italica e poi con l’imperatore Caracalla (212 d.C.) a chiunque abitasse nei territori dell’impero; anche nella scelta dei governanti i Romani erano all’avanguardia: a differenza dell’antica Atene, dove, per poter accedere alle cariche pubbliche, era necessario essere obbligatoriamente autoctoni, figlio di entrambi genitori ateniesi, Roma elesse al soglio imperiale uomini provenienti dalle sue province (si pensi a Traiano, primo imperatore non italico, poiché nato in Hispania) o addirittura barbari (il primo fu Massimino il Trace). Un po’ come se noi eleggessimo un presidente della Repubblica o del Consiglio di origini non italiane… Alla luce di quanto asserito sinora, com’è che l’impero romano si disgregò? L’immigrazione è sempre stata un vantaggio per Roma, finché è stata accompagnata dall’assimilazione all’apparato politico romano, ossia finché è stata gestita bene, con regole chiare e diritti e doveri chiaramente stabiliti, sotto una direzione politica salda; nel momento in cui questo apparato non è stato più riconosciuto, quando cioè i popoli dentro i confini di Roma hanno ritenuto di fare ognuno come gli pareva, questo sistema si è lacerato dando vita ai regni romano-barbarici; per dirla con le parole dello storico Alessandro Barbero: «i barbari sono stati una risorsa per Roma finché non hanno desiderato altro che diventare Romani, il disastro è cominciato quando i Goti hanno sentito che era più vantaggioso rimanere Goti anziché diventare Romani».
"La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l'illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi" (Karl Popper).
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