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Barbablù? Era compagno d’armi di Giovanna D’Arco

Che rapporto c’è tra questa eroina divenuta santa e un uomo meschino come Gilles? Ebbene, c’era un tempo in cui il barone di Ray... Ecco da dove nasce la leggenda: da Gilles de Ray a Perrault

Barbablù? Era compagno d’armi di Giovanna D’Arco

incisione - Gustave Doré

C’era un tempo in cui il barone di Ray fu non solo ricchissimo ma anche un genio dell’arte militare, al punto che a soli ventitré anni era comandante dell’esercito reale e fu così che divenne lo stratega di Giovanna, combattendo al suo fianco giorno e notte.

Chi era Barbablù? Certamente a rendere celebre la fama di questo personaggio è la penna di Charles Perrault, il più famoso autore di fiabe, che nel 1627 così chiamò uno dei protagonisti della raccolta “Contes de ma mère l'Oye”. Orbene, se è vero che Barbablù era un uomo cruento e malvagio, che aveva non solo ucciso ma fatto a pezzi le sue mogli, e se è vero che Perrault avrebbe potuto far derivare la sua storia dalla mitica figura del sultano Shahrīyār, tra i protagonisti delle “Mille e una notte” (che ogni giorno sposava una donna del regno per poi ucciderla), è altrettanto probabile che con il nome di Barbablù fosse conosciuto il barone Gilles di Ray. Vi domanderete: chi era costui? Un nobile francese vissuto nel XV secolo che avrebbe combattuto al fianco niente poco di meno che della Pulzella d’Orléans, ossia Giovanna d’Arco. Che rapporto c’è tra questa eroina divenuta santa e un uomo meschino come Gilles? Ebbene, c’era un tempo in cui il barone di Ray fu non solo ricchissimo ma anche un genio dell’arte militare, al punto che a soli ventitré anni era comandante dell’esercito reale e fu così che divenne lo stratega di Giovanna, combattendo al suo fianco giorno e notte. Dopo la morte della nostra Pulzella, Gilles si dimette dagli incarichi militari e si dà ad una vita dispendiosissima, dedita al lusso e alla lussuria. Ad un certo punto dissipò in breve il patrimonio di famiglia, così che – si narra – fece sodalizio con Francesco Prelati, un monaco dedito all’occultismo, che si diceva fosse capace di evocare il demonio. È a questa fase della vita di Gilles che si ascrivono tutte le nefandezze possibili e immaginabili, che lo avrebbero consacrato alla storia come uomo terribile; tra queste l’aver ucciso quasi 150 bambini nei modi più perversi: smembrati, bruciati, etc. Catturato, pare confessò tutto sotto minaccia della tortura. Così il suo nome passò alla storia come Barbablù e così probabilmente lo conobbe il buon Perrault che tuttavia sostituì le uccisioni dei bambini con quelle delle mogli. Oggi alcuni studiosi tendono a riscattare la figura del barone Gilles, adducendo come motivazione che le fonti potrebbero essere ‘viziate’, ovvero si consideri, ad esempio, che i beni del barone erano stati acquistati a condizioni vantaggiose, per cui i suoi avversari avevano tutto l'interesse ad impedirgli di esercitare il diritto di riscatto; a ciò si aggiunge che tra i suoi giudici si trovavano proprio coloro che avevano tutto l'interesse a rovinarlo; se poi si pensa che il processo fu condotto con i metodi propri dell'Inquisizione, senza il diritto di difesa e con l'impiego della tortura, è probabile che Gilles de Ray possa aver confessato cose mai compiute e condannato comunque a morte per interessi economici. Non possiamo dire se questa supposizione avanzata dallo storico Salomon Reinach sia vera o meno, a me – tuttavia - piace pensare a Gilles attraverso le parole e l’idea che si fa di lui Andrea Camilleri in “Donne” (2014), quando asserisce: «Io sono convinto che Gilles abbia voluto conoscere, dopo il Bene assoluto [Giovanna d’Arco], anche il Male assoluto. Ma per conoscere interamente il male, bisogna praticarlo fino in fondo. Cosa che Gilles fece. E credo che al culmine dell’orrore si sia reso conto che non c’era più necessità di evocare il diavolo, bastava che si guardasse allo specchio. Aveva finalmente raggiunto l’altezza di Giovanna, ma dalla parte opposta, l’unica che gli era concessa. E così poteva idealmente tornare a dormire accanto a lei come nei giorni di guerra, il Bene e il Male uniti, addirittura confusi in uno stretto abbraccio».

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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