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L’origine della Mirra… una storia turpe e incestuosa

Oro, incenso e mirra, questi i doni che i Re Magi portano alla mangiatoia del Bambin Gesù per salutare la nascita del Re dei Re. I tre ‘omaggi’ hanno un significato simbolico. Dal mito ai Magi, alla Sacra Sindone

L’origine della Mirra… una storia turpe e incestuosa

B. Picart,

La giovane Mirra, figlia del re di Cipro Cinira, rifiutava qualunque pretendente le venisse proposto perché covava nel cuore la più turpe delle passioni

Oro, incenso e mirra, questi i doni che i Re Magi portano alla mangiatoia del Bambin Gesù per salutare la nascita del Re dei Re. I tre ‘omaggi’ hanno un significato simbolico: se l’oro simboleggia la regalità e l’incenso la sacralità, la mirra, usata dagli antichi per la mummificazione, doveva forse annunciare la morte di Cristo. Al di là dei racconti dei vangeli apocrifi e delle opere dedicate alla simbologia di queste tre offerte, mi piace soffermarmi sulla mirra, certamente la sostanza più ‘misteriosa’, nel senso che ancor oggi, sebbene si sappia sia una gommaresina di colore rosso, non tutti ne conoscono esattamente gli usi. Ebbene, se vi fermassero per strada in una ipotetica intervista (a mo’ delle Iene di Italia1) e vi chiedessero di parlare della mirra, cosa rispondereste? Io, che non conosco tutti gli usi medicamentosi di questa sostanza (e ce ne sono), racconterei la storia di Mirra e di come questa fanciulla sia divenuta un albero che stilla gocce ‘gommose’. Ancora una volta mi viene in soccorso Publio Ovidio Nasone, che nel X libro delle “Metamorfosi” racconta una storia triste ed empia. La giovane Mirra, figlia del re di Cipro Cinira, rifiutava qualunque pretendente le venisse proposto perché covava nel cuore la più turpe delle passioni: amava follemente il proprio genitore. Una notte, non riuscendo a placare il fuoco indomabile che la dilaniava, decise di darsi la morte, ma il fato volle che, mentre stava per introdurre il collo nel capestro, fosse sorpresa dall’anziana nutrice, a cui, vinta dalle lacrime, Mirra confessò il suo insano amore. L’anziana donna, presa dalla disperazione, decise sciaguratamente di aiutare la giovane nell’ottenere ciò che di più bramava, e così disse al re che c’era una bellissima ragazza disposta ad unirsi a lui; Cinira non disprezzò l'offerta e ordinò che la giovane fosse condotta a lui durante la notte. «La notte fonda e tenebrosa attenua la vergogna. […] ma infine Cinira, smanioso di vedere l’amante, dopo aver giaciuto con lei tante volte, accosta al letto una lanterna e illumina così la sua infamia; la costernazione gli impedisce di parlare ma si slancia a strappare dal fodero la spada splendente» così narra Ovidio. Mirra riesce a fuggire, corre verso l’Oriente, e a un certo punto, esausta, pronuncia questa preghiera: «O Numi, affinché io non contamini con la mia presenza i vivi e con la mia morte i defunti, scacciatemi dal regno degli uni e degli altri. Privatemi sia della vita che della morte!»; gli dèi allora accolgono la preghiera e trasformano la scellerata fanciulla in un albero: le sue braccia diventano rami, la sua pelle corteccia, il suo sangue linfa, eppure Mirra continua a piangere per il suo peccato e dall’albero trasudano tiepide gocce. Così abbiamo l’albero della mirra e la gommaresina rossastra prodotta non sono altro che le lacrime dell’empia ragazza. Il mito racconta, inoltre, che, quando venne trasformata in albero, Mirra portava in sé il frutto dell’incesto, che non riusciva ad uscire dalla corteccia, ma gli dèi, mossi a pietà, decisero di aiutare il bambino a venir fuori e così per la prima volta si vide un albero partorire. Il bellissimo bambino era Adone, che da adulto divenne il giovane più bello che si fosse mai visto, al punto che la dea Venere perse completamente la testa per lui; ma questa è un’altra storia… Piuttosto, lo sapevate che la formazione dell'immagine sul lino della Sacra Sindone la si deve proprio alla presenza di aloe e mirra sul cadavere? Difatti, la tela impregnata di aloe e mirra va incontro ad un imbrunimento nei punti esposti all'azione dell'acqua, lasciando impronte sul panno.

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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