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Com’è dolce sognar… ecco come gli Antichi interpretavano i sogni

Omero e Aristotele si facevano un baffo di Freud

Com’è dolce sognar… ecco come gli Antichi interpretavano i sogni

Johann Heinrich Füssli, L'incubo, 1781

L’importanza data ai sogni presso gli antichi si perde nel tempo; da sempre gli uomini sognano e da sempre c’è stato qualcuno che ha cercato di dare una spiegazione a questi fenomeni.

Figli di Gea e della Notte e fratelli del sonno, così il tragediografo Euripide (V sec. a.C.) definiva i sogni. L’importanza data ai sogni presso gli antichi si perde nel tempo; da sempre gli uomini sognano e da sempre c’è stato qualcuno che ha cercato di dare una spiegazione a questi fenomeni. A differenza dei romani, gli antichi greci attribuivano grande importanza ai sogni, che potevano avere, a seconda della ‘specie’, una classificazione; riferisce Macrobio che ci sono cinque tipi di sogni possibili: il “somnium”, il sogno enigmatico che va interpretato, l’“oraculum”, solitamente una sorta di profezia pronunciata da qualche personaggio autorevole che appare in sogno, la “visio”, vera e propria visione di ciò che sta per accadere, l’“insomnium”, ossia un ‘sogno falso’ perché non significa nulla ma è una sorta di ‘visione’ riferita ad una condizione dell’anima o del corpo, e infine il “visum”, anche questo un ‘falso sogno’ che si riferisce allo stato di dormiveglia. Tanta era l’attenzione che questo popolo attribuiva ai sogni che i primi testi che ne parlano sono proprio i poemi omerici; Omero, nell’Odissea, parla delle porte dei sogni, una d’avorio e l’altra di corno, per distinguerne due gruppi: quelli privi di importanza e riferibili solo ad avvenimenti comuni, e quelli apportatori di verità. Il primo sogno che troviamo in letteratura è l’apparizione dell’ombra di Patroclo ad Achille, che chiede di essere sepolto per poter entrare nell’Ade e, al contempo, predice la prematura morte dell’eroe greco. Se questo sogno appartiene al genere della visio/oraculum, nell’Odissea abbiamo un vero e proprio sogno allegorico: il sogno delle oche e dell'aquila (libro XIX) che profetizza la vendetta di Odisseo nei confronti dei proci (Omero di Freud si faceva un baffo!). L’importanza del sogno quale ‘profezia’ del futuro è ribadita nella letteratura latina dall’Eneide di Virgilio (dove numerosi sono i defunti o gli dèi che vanno in sogno ad Enea) e dal “Somnium Scipionis” di Cicerone, in cui Scipione Emiliano, in sogno, viene trasportato nella via Lattea dove incontra il nonno, Scipione l’Africano Maggiore, che disquisisce sul destino dell’anima e delle sfere celesti (questa visione/rapimento in un mondo ultraterreno non ricorda forse la Commedia di Dante?). Ben diverso è l’approccio del filosofo greco Epicuro, che possiamo definire più ‘razionale’, per il quale i sogni non erano altro che aggregazioni di atomi che restano attivi anche durante il sonno; sulla sua scia il latino Lucrezio affermerà (libro IV, “De rerum natura”), che il sogno è una mera riproduzione degli avvenimenti che più hanno colpito durante il giorno e sono, pertanto, sfogo di ansie, passioni e pressioni quotidiane. Molto più vicino alle tesi moderne era il filosofo Aristotele (IV sec. a.C.): egli sosteneva che il sogno, non fa altro che trattenere ed elaborare gli stimoli sensitivi che ci colpiscono durante il giorno. Se una persona durante il giorno, vede, sente o ascolta qualcosa, questo nel sonno viene rielaborato dai nostri sensi, mediante nuove immagini di esso; inoltre Aristotele riteneva che i sogni ci possano avvisare anche di quello che non funziona nel nostro corpo. Infine, se è vero che “L’interpretazione dei sogni” è stata pubblicata solo nel 1899, tuttavia prima di quello freudiano esisteva già un altro manuale-guida, “Il libro dei sogni” di Artemidoro, datato II sec. d.C., considerata l’opera più vasta in assoluto, dedicata interamente alla tematica del sogno. A chi dobbiamo credere? Qual è l’interpretazione giusta? A me piace tanto una frase attribuita a Tolomeo: «I sogni sono i mezzi di cui gli dèi si servono per trarre in inganno gli uomini».

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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