Il campanello sopraffatto dall’insistente martirio della furia delle dita è un urlo implacabile che lacera i timpani e tramortisce il cervello; i colpi, insistenti, sulla porta sono lampi che affettano i pensieri che, ridotti a brandelli, come code di lucertole ferite, subitaneamente ricompongono il grumo di scene già vissute, pretese già subite, insistenze già violentemente sofferte. Il soprassalto della disperazione dura il tempo di imbracciare un fucile, aprire la porta e farsi largo, con forza ormai indomabile, nella carne della tua carne, nel vagito di una creatura che ti si è insinuato dentro come il sibilo di un incubo. Sull’uscio di casa il domani è un universo irrimediabilmente in frantumi, con lo strazio che volevi tacitare. Ora è quiete, ma anche morte; è liberazione, ma anche vuoto; è silenzio, ma anche confusione. Ora, nel vocabolario della vita, “padre”, “figlio”, sono parole senza alcuna narrazione, singulti di memoria senza speranza. Povero padre, povero figlio: uccisi, entrambi, dalla difficoltà di appartenersi. È difficile credere che la loro disperazione abbia potuto prendere il sopravvento. Conosco bene Luigi, il padre: un uomo mite, dedito al suo lavoro nel bar dalla mattina alla sera, sempre gentile, generoso. Conoscevo meno bene Roberto, il figlio ucciso, ma quelle poche volte che l’ho incrociato, scambiando qualche battuta, non mi è sembrato affatto il ragazzo violento che oggi vien fuori dal profilo degli inquirenti, anzi: era cordiale, sapeva stare al suo posto, un bravo ragazzo insomma. Cosa possa aver disseminato zizzania tra i due, a tal punto da armare la disperazione del padre, è, apparentemente, difficile da capire. La follia rachiusa in un attimo può essere il distillato di una lunga, silente, ebollizione di dissapori che decantano all’improvviso, sconsideratamente; alimentate da un male di vivere che spesso Roberto, il figlio, avrà incontrato, che con pazienza Luigi, il padre, avrà tentato di lenire, arrendendosi alla fine all’istintivo desiderio di una quiete che però, ora, non avrà mai pace. Povero figlio, povero padre.
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Antonio Blasotta
Alla passione per la scrittura e la comunicazione ho dedicato il mio tempo, senza mai risparmiarmi. Così, da quando avevo 15 anni, ho scritto per diversi giornali (Puglia, La Gazzetta del Mezzogiorno, il Roma), ho diretto la prima tv di Foggia, Teleradioerre; ed ho finito con il fondare la Casa Editrice "Il Castello", che, oltre ad editare diversi libri, pubblica "Il Mattino di Foggia". Divido la mia vita tra la passione editoriale e quella per la formazione relazionale e direzionale, essendo Master Trainer con licenza USA di PNL.