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i pensieri dell'altrove

E se scordarsi facesse bene al ritrovarsi?

E se scordarsi facesse bene al ritrovarsi?

Ho scordato di prendere le pillole per la pressione: mediamente grave. Ho scordato di telefonare: grave. Ho scordato di ricordare: gravissimo. Ma inconsueto e liberatorio. Così tanto vicina al 'me' da lasciare trascurato l'io. Succede, e non è così disdicevole, nella sua irregolarità singola. Ad un certo punto il tempo costruito sull'ordinarietà e le consuetudini, sulle difese delle posizioni, sulle trappole dei ruoli, lo vedi logorato dalla fatica. Senti il disagio di un peso che va assottigliato, una tensione da sottrarre, la silenziosa necessità di fare spazio al margine emotivo che convive con i nostri nervi, con il nostro stomaco, con le spalle che fanno male. Scordarsi non intenzionalmente di qualcosa o di qualcuno per ricordarsi di noi. Senza fare male, senza usare armi, senza spargimenti di sangue, anzi, in maniera quasi anemica, ma con l'intenzione energica di riprodurre una individuale risorsa, quella che viene fuori  da una sospensione consapevole del senso del dovere, di togliersi il grembiulino blu e non essere più scolaro ubbidiente, di fare spazio ad una sosta per una persona. La libertà di agire come un pellegrino del mondo che tenta di cercare e di trovare il suo o di affrancarsi da nodi dal mondo che ha già. Spostarsi può bastare, non serve la progettualità dell'andare. Hai bisogno solo del corpo, del fiato per camminare, ed arriverà l'inaspettata rivelazione che non ti manca niente, perché ti chiedi e ti rispondi come ti potrebbe mancare quel qualcosa che in ogni caso non hai. Quindi partiamo, senza cinture di sicurezza, quelle le rimettiamo semmai al ritorno. Senza troppi appunti di viaggio e  senza note di promemoria. Proviamo a far conoscere un luogo nuovo di ricongiunzione alla nostra inquietudine, lasciamo la larghezza naturale alla tristezza, facciamo fare un autostop ai pensieri. Dovunque si sarà arrivati sarà solo un traguardo, poi forse dovremo capire se da lì ci aspetta una sconosciuta, rivoluzionaria destinazione.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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