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La malinconia, il male 'nero': ecco come la curavano i Latini

«Cosa ti manca?» - «Le sensazioni che non provo. Le cose che non faccio. Le persone che non incontro. Le vite che non ho» (Andrea De Carlo)

La malinconia, il male 'nero': ecco come la curavano i Latini

D. Fetti, "Melanconia", 1622.

Tuttavia, sorprende Marco Tullio Cicerone che, sulla scorta di Aristotele, ascrive ai malinconici un che di ‘geniale’: «ingeniosos melancholicos esse», e ancora: «Aristotele riteneva che anche i veri e propri ammalati di pazzia furiosa e i cosiddetti atrabiliari avessero nelle loro anime qualcosa di profetico e divinatorio».

Oggi la chiamano depressione, ma la conoscevano già gli antichi Greci, sebbene con un nome diverso. Si tratta della melanconia (o malinconia che dir si voglia), consistente in uno stato patologico di immotivata tristezza, inibizione all’azione, ansia. Il termine  μελαγχολία (melancholía) si trova per la prima volta nel corpus del medico Ippocrate e deriva da “mélas” (= nero) e “cholé” (= bile), dunque la “bile nera”. La differenza è che, rispetto ad oggi, tale male non era considerato psicologico bensì corporeo, con origine per l’appunto nella bile, cosa che pertanto lo rendeva ‘collocabile’ e dunque curabile. Secondo la medicina ippocratica il comportamento umano poteva essere alterato da quattro ‘umori’ (ovvero liquidi corporei): bile nera, bile gialla, flegma e sangue; l’eccesso di uno di questi umori poteva determinare una alterazione degli stati d’animo, incidendo sul temperamento dell’individuo. Ad esempio il collerico ha un eccesso di bile gialla, il flemmatico di mucose nelle vie respiratorie, il sanguigno di sangue, ma più di tutti colui che era affetto da melanconia era considerato “insanus”, ossia vicino alla pazzia. Come curare, dunque, questo stato cronico di accidia e disamore per la vita? Secondo Plinio il Vecchio, ancora una volta la risposta è nel sapiente uso delle piante: «Mescolano un obolo e mezzo di elleboro bianco, quelli che cercano soprattutto questa guarigione per la depressione malinconica, le epilessie, le gotte. Anche da solo nella dose di una dracma fa evacuare» e ancora: «è rimedio alla malinconia un infuso di sterco di vitello nel vino». Anche Scribonio Largo ammette che chi è affetto da “atra bilis” è caratterizzato da inedia e perdita di appetito. Tuttavia, sorprende Marco Tullio Cicerone che, sulla scorta di Aristotele, ascrive ai malinconici un che di ‘geniale’: «ingeniosos melancholicos esse», e ancora: «Aristotele riteneva che anche i veri e propri ammalati di pazzia furiosa e i cosiddetti atrabiliari avessero nelle loro anime qualcosa di profetico e divinatorio». Orbene, sembra che tristezza e genialità vadano di pari passo. E voi, in quale dei quattro ‘umori’ vi identificate?

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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