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La defixio… ovvero come liberarsi di un avversario scomodo

La defixio… ovvero come liberarsi di un avversario scomodo

Trascrizione di una lamina (Museo di Bologna)

Quante volte pensiamo (scioccamente forse) che se una certa persona non esistesse la nostra vita sarebbe migliore? Che si trattasse di un rivale in amore, di un avversario politico o di un concorrente sul lavoro, i nostri antenati latini ricorrevano ad una particolare pratica, per risolvere “una volta per sempre il problema”, ossia alla magia attraverso le ‘tabulae defixionum’. Queste particolari ‘tabelle’ consistevano in lamine di piombo su cui erano incise delle formule di maledizione, con lo scopo di ‘consacrare’ alle divinità infere l’avversario. Erano dette ‘defixiones’ dal verbo latino ‘defigere’, che vuol dire “trafiggere, inchiodare”, dal momento che queste lamine, una volta arrotolate, venivano poi fissate con un chiodo nella terra (possibilmente quella di luoghi di sepoltura, poiché ‘avvicinava’ le formule alle divinità infere); ossia per un principio di magia fondata sul rapporto analogico, come le tavolette erano ‘inchiodate’ così lo era anche il proprio nemico: trafitto dalla morte o immobilizzato da una malattia. I testi erano per lo più standard, ovvero all’inizio c’era un’invocazione alle divinità ctonie/infere, il cui nome spesso era collocato fra molti epiteti benevoli, atti ad ingraziarsi la divinità e a non attirare su di sé sciagure; seguiva la promessa di una remunerazione per l’intervento richiesto (ossia «se fai questo, in cambio ti darò…») oppure un elenco di azioni compiute in precedenza a favore della divinità (es. «poiché ti ho dato…, ora tu dammi…»); infine, troviamo la richiesta di fare del male, danneggiare o provocare la morte del nemico. Qui la precisione è massima: l’avversario è indicato non solo con il nome, ma con tutti gli appellativi che possano identificarlo con precisione (cioè deve essere proprio lui, nessun margine d’errore!), specie il matronimico, poiché, se nella vita pubblica è il patronimico che contava, nelle formule magiche ciò è meno importante (se è vero come suggerisce il proverbio “mater semper certa, pater numquam”… a voi la traduzione!). Ma non basta. Nella ‘defixio’ non si chiede solo di colpire l’individuo ma tutte le parti del suo corpo (affinché non se ne salvi neanche una!), dal momento che il ‘catalogo’, così concepito, doveva propagare l’azione magica su tutto il corpo; si legge ad esempio in una ‘tabula defixionis’: «Proserpina, consegno a te Plozio. Ti do le labbra, le orecchie, la lingua di Plozio, perché non possa dire cosa gli fa male; il collo, le braccia, le dita, perché non possa aiutarsi in alcun modo; il petto, il fegato, il cuore, i polmoni, perché non possa percepire cosa gli fa male…». Se tali formule funzionassero o meno, non ci è dato saperlo, ciò che stupisce, tuttavia, è l’enorme quantità di tabelle di questo genere ritrovate, segno che si trattava di una ‘magia popolare’, praticata da tutti all’occorrenza. Cosa ne pensate? Erano un po’ cattivelli i nostri antenati?

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Alba Subrizio

Alba Subrizio

«E quel giorno che ha potere solo sul mio corpo e su null’altro, ponga pure fine, quando vorrà, alla mia vita. Con la miglior parte di me volerò eterno al di sopra degli astri e il mio nome non si potrà cancellare, fin dove arriva il potere di Roma sui popoli soggiogati, là gli uomini mi leggeranno, e per tutti i secoli vivrò della mia fama…». Così Publio Ovidio Nasone conclude il suo capolavoro “Le Metamorfosi”; sulla scia del grande Sulmonese. E, allora, eccomi qui a raccontarvi di miti, eziologie e pratiche del mondo antico… che fanno bene anche oggi.

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