IL MATTINO
AntichiRitorni
30.05.2015 - 23:55
Piramo e Tisbe, Casa IX, 5, 14, Pompei
State pensando ad una storia simile? Se si tratta di Romeo e Giulietta non vi sbagliate; alcune analogie sono addirittura ‘imbarazzanti’: due famiglie che si odiano, l’inganno nel credere che uno dei due sia morto che induce l’altro ad uccidersi, il tragico finale…
Racconta il poeta latino Ovidio nella sua opera più famosa, “Le Metamorfosi”, di due giovani innamorati di Babilonia, Piramo e Tisbe. Il loro amore era ostacolato poiché le rispettive famiglie si odiavano, così i due ragazzi riuscivano a comunicare solo grazie ad una fessura all’interno di una parete che le abitazioni avevano in comune… Un giorno gli innamorati programmano la fuga e decidono di incontrarsi nella notte sotto un noto albero di gelso (albero i cui frutti anticamente erano candidi) presso una fonte. Arriva per prima Tisbe, che si siede su una pietra in attesa dell’amato, ma, al sopraggiungere di una leonessa ancora sporca del sangue delle sue vittime, corre a rifugiarsi nella foresta, perdendo però il suo bel velo, che verrà dilaniato dall’animale. Al suo arrivo Piramo trova solo il velo dell’amata sporco di sangue e, dopo aver notato le orme della leonessa, non può che giungere ad una conclusione: che Tisbe sia morta. Vinto dal dolore e certo di non poter vivere senza la donna amata, Piramo sguaina la spada e si dà la morte sotto il gelso; di lì a poco sopraggiunge anche Tisbe che comprende l’equivoco in cui è caduto il povero Piramo e decide di seguirlo, trafiggendosi il petto, per essere uniti per sempre nella morte. I due corpi giacciono così l’uno sull’altro sotto il grande albero di gelso, i cui frutti dal quel momento divennero vermigli, poiché così gli dèi, impietositi, decisero di ricordare i due amanti. State pensando ad una storia simile? Se si tratta di Romeo e Giulietta non vi sbagliate; alcune analogie sono addirittura ‘imbarazzanti’: due famiglie che si odiano, l’inganno nel credere che uno dei due sia morto che induce l’altro ad uccidersi, il tragico finale… Ebbene, ancora una volta capiamo che i moderni non hanno scoperto nulla, il buon Shakespeare ha solo attinto a quell’immenso patrimonio che è la mitologia greco-latina per mettere in atto un’operazione di ‘riscrittura’ e attualizzazione dell’antico, ambientando la sua storia a Verona e aggiungendo qualche espediente in più. A dimostrazione che il buon William conoscesse bene la novella ovidiana, è il fatto che tanto doveva piacergli questa storia che la inserisce all’interno anche di un’altra opera: “Sogno di una notte di mezza estate”. Qui sono in corso i festeggiamenti per il matrimonio di Teseo e Ippolita (l’argomento è mutuato dal mito greco) e una compagnia teatrale decide di mettere in scena proprio la storia di Piramo e Tisbe; un chiaro riferimento di lettura intertestuale dunque, che oggi si potrebbe quasi definire un ‘cammeo’ d’autore. Ma già qualcun altro prima di Shakespeare aveva intravisto buone potenzialità in questa trama; si tratta di Giovanni Boccaccio, che in molte novelle della IV giornata (Lisabetta, Simona e Pasquino, Girolamo e Salvestra, etc) non solo ricalca chiaramente gli espedienti narrativi ovidiani ma ne riprende addirittura l’idea della “cornice”; difatti nel libro IV delle “Metamorfosi” del poeta latino sono le figlie del re Minia che per non annoiarsi al telaio raccontano a vicenda varie storie, tra cui questa. ‘Mutatis mutandis’, a quanto pare i suicidi d’amore hanno sempre fatto colpo sui lettori di tutti i tempi…
edizione digitale
Il Mattino di foggia