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"Concezio Petrucci e le Città Nuove": il capolavoro di Arturo Cucciolla sull'architetto del Duce nato a San Paolo di Civitate

Cucciolla ci fa riflettere sull'attualità della visione di Petrucci, sulla sua capacità di pensare la città come un organismo complesso, in cui la memoria del passato dialoga con le esigenze del futuro

"Concezio Petrucci e le Città Nuove": il capolavoro di Arturo Cucciolla sull'architetto del Duce nato a San Paolo di Civitate

Petrucci fu anche l'artefice dei piani regolatori di Bari vecchia (1931) e della città nuova (1932-33). La sua amicizia e collaborazione con Araldo di Crollalanza, figura di spicco del fascismo e podestà di Bari, si rivelò cruciale per la realizzazione di un ambizioso programma di opere pubbliche

In un omaggio che intreccia la storia dell'urbanistica moderna alla memoria familiare, la recensione del libro di mio padre, Arturo Cucciolla, "Vecchie città / città nuove. Concezio Petrucci 1926-1946", edizioni Dedalo, pubblicato nel 2006, si carica di un significato profondo, un tributo a un'eredità intellettuale che ha plasmato il volto di molte città italiane. Quest'opera, dedicata con affetto al suo primo nipote Federico, ripercorre con acume e passione la straordinaria epopea di Concezio Petrucci, un architetto e urbanista che ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama architettonico del Novecento.

Il saggio di papà, architetto e docente di Storia dell'Architettura Contemporanea presso il Politecnico di Bari, offre un'analisi completa e rigorosa dell'opera di Petrucci, esaminandone i progetti e le realizzazioni tra il 1926, anno della sua laurea presso la Regia Scuola di Architettura di Roma, e il 1946, anno della sua prematura scomparsa. Il libro getta luce su una figura di spicco, un professionista capace di dare un contributo originale al movimento moderno, in un dialogo costante e avvincente tra storia e progetto.

La visione urbanistica di un modernista

Concezio Petrucci emerge dalle pagine del libro come un protagonista assoluto della nascita della moderna scuola di architettura italiana. Allievo di Gustavo Giovannoni, Petrucci fu tra i primi laureati della Scuola Superiore romana e partecipò con fervore alla definizione dell'urbanistica come disciplina autonoma. La sua visione, come magistralmente descritta da mio padre, si caratterizzava per una scelta quasi esclusiva per la committenza pubblica, un impegno civile che lo portò a confrontarsi con la complessità delle trasformazioni urbane del suo tempo.

L'impronta di Petrucci a Bari

Un capitolo fondamentale dell'opera di Petrucci, ampiamente documentato nel libro, è il suo lavoro a Bari. Chiamato a dirigere l'ufficio urbanistico del comune dal 1930 al 1933, Petrucci fu l'artefice dei piani regolatori di Bari vecchia (1931) e della città nuova (1932-33). La sua amicizia e collaborazione con Araldo di Crollalanza, figura di spicco del fascismo e podestà di Bari, si rivelò cruciale per la realizzazione di un ambizioso programma di opere pubbliche.

Tra le opere più significative il libro ne analizza in dettaglio la concezione e la realizzazione:

• Il Piano Regolatore di Bari Vecchia : Un intervento delicato che mirava al risanamento e alla valorizzazione del tessuto storico, introducendo nuovi tracciati stradali e prospettive visive per esaltare le emergenze architettoniche.

• Opere Pubbliche Monumentali : Petrucci progettò edifici che ancora oggi definiscono il lungomare di Bari, come il regio liceo-ginnasio "Cirillo" (1932) e la facoltà di Economia e Commercio (1934-37), caratterizzata da un suggestivo rivestimento in pietra di Bisceglie e tufo di Castellaneta.

L'eredità delle "Città Nuove"

Oltre all'esperienza barese, il volume si sofferma sull'importante contributo di Petrucci alla progettazione delle "città nuove" dell'Agro Pontino, come Aprilia e Pomezia, e della borgata rurale di Segezia in Puglia. Questi interventi, spesso vinti attraverso concorsi di progettazione, testimoniano la sua capacità di coniugare i principi del razionalismo con la tradizione architettonica italiana.

Leggere oggi il libro di mio padre non è solo un modo per riscoprire un capitolo fondamentale della storia dell'architettura italiana, ma è anche un'occasione per riflettere sull'attualità della visione di Petrucci, sulla sua capacità di pensare la città come un organismo complesso, in cui la memoria del passato dialoga con le esigenze del futuro. È un'eredità che, come la dedica al suo primo nipote Federico, si proietta verso le generazioni a venire, un invito a costruire città più belle, funzionali e a misura d'uomo.

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