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Mille giorni di governo Meloni, il miglior alleato? La sinistra petalosa

«Oggi sono mille giorni da quando il governo è in carica ma a me mi sembrano di più...». Giorgia Meloni sceglie una battuta sulla sua longevità a Palazzo Chigi per rompere il ghiaccio al Congresso della CISL. Dal giuramento come premier al Quirinale insieme ai suoi 24 ministri, il 22 ottobre 2022, ne è passata di acqua sotto i ponti. I mille giorni da prima donna nella stanza dei bottoni a Palazzo Chigi le sembrano quasi un’eternità

Mille giorni di governo Meloni, il miglior alleato? La sinistra petalosa

Giorgia Meloni

«Sono portata a vedere più quello che non è stato fatto e quello che non va», annuncia la leader di FdI, «ma vi dirò qual è il dato che da presidente del Consiglio mi rende più orgogliosa di questi quasi tre anni di governo: in media, in ognuno di questi mille giorni, sono stati creati più di mille posti di lavoro nuovi e a tempo indeterminato, per un totale di più di un milione di nuovi posti di lavoro». Meloni parla per circa 30 minuti a braccio, ribadendo le sue preoccupazioni per l’incertezza dell’attuale momento storico, con i conflitti aperti in Ucraina e Medio Oriente: «Stiamo attraversando un periodo complesso, segnato da tensioni geopolitiche, da tensioni commerciali, che rendono il contesto internazionale molto instabile, con conseguenze inevitabili sull’economia reale, sulla tenuta dei livelli occupazionali e sulla produzione». Sui dazi, sottolinea la necessità di «scongiurare una guerra commerciale con gli Stati Uniti», che «non avrebbe alcun senso e impatterebbe soprattutto sui lavoratori». 

Mentre Meloni affronta crisi internazionali, tensioni sociali e una complessa gestione economica, dall’altro lato il centrosinistra sembra impegnato in tutt'altre priorità: litigare su alleanze mai nate, organizzare manifestazioni contro le proprie stesse contraddizioni, e discutere di lessico e simboli più che di proposte concrete. Nel frattempo il governo marca punto dopo punto. Anche quando inciampa – sulla giustizia o sull’autonomia differenziata o ancora sui balbettii europei – nessuno a sinistra riesce a trasformare gli errori in consenso. Più che un’opposizione, il campo progressista sembra offrire a Meloni una passerella. Quando il PD parla, è diviso. Quando il Movimento 5 Stelle propone, lo fa da un’altra galassia. Quando i piccoli partiti di sinistra si muovono, nessuno se ne accorge. E quando tutti insieme protestano, la premier si limita a dire: “Eccoli, i soliti”. A ogni gaffe, polemica o provocazione del governo, si assiste a una reazione stanca, prevedibile e autoreferenziale, come se bastasse indignarsi con i sassi dell'Adige per guadagnare voti. Così non si costruisce alternativa: si alimenta il nemico. L’indebolimento delle opposizioni – più interessate a non scontentare la propria bolla che a convincere gli indecisi – è il vero pilastro del melonismo. La premier lo sa e ci gioca. Non c’è bisogno di rispondere con dettagli, cifre o visione a ogni critica. Basta aspettare che la sinistra si smentisca da sola. E succede quasi sempre. Qualcuno ha definito questa sinistra “vuota e petalosa”: bella nei toni, tenera nei proclami, ma senza radici profonde nella società reale. E Meloni, donna politica concreta e abile nella comunicazione, ha gioco facile nel contrapporre la sua narrazione di pragmatismo a questo caleidoscopio di buone intenzioni senza trazione popolare

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