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Franco Battiato, il giocatore di poker che si fece cantante e filosofo

Le frequentazioni foggiane di Franco Battiato, Corvino: «Ci ha insegnato che la musica è ricerca, spiritualità, comunicazione»

A Franco Battiato piaceva il poker, o meglio arrivato a Milano, dalla Sicilia, per fare musica, senza una lira, si manteneva giocando a poker con i cantanti (alcuni già famosi) che frequentava, e quindi non esistevano solo i poker letterari che disputava insieme a Giorgio Gaber, Ombretta Colli e ai coniugi Calasso, Roberto e Fleur Jaeggy.
«Non giocavano soldi ma libri. I volumi, ovviamente Adelphi, sostituivano le fiche. Ovvio che "pagava" sempre Calasso», come ha ricordato la figlia dei Gaber, Daria Gaberščik, ma accanto a queste c'era anche le partite vere, tanto più che il poker è l'unico gioco d'azzardo a cui si può vincere, se si sa ragionare e anche bleffare.
E Franco Battiato, del giocatore di poker aveva mantenuto il fiuto, lo sguardo e il distacco necessari per vincere, al punto che a raccontare adesso questo, il fatto che giocasse a poker per vivere, alla luce di una carriera musicale densa, varia, sembra quasi surreale.
E invece quando esplose Franco Battiato con “L'era del cinghiale bianco”, negli anni ‘80, fu davvero un azzardo, soprattutto fu un azzardo in un paese, come l'Italia, che alle canzonette relega i messaggi base della vita, che poi sono quelli dei sentimenti più che quelli di un armonioso sviluppo sociale.
Praticamente mancava un passaggio, quello dell'educazione sentimentale/sociale attraverso il pensiero, ma in un paese in cui la rima baciata è il massimo dell'espressione poetica era difficile scardinare tutto questo.
E invece Franco Battiato c'è riuscito, partendo anche da un handicap, visto che Franco Battiato era agli antipodi dalla figura di cantante che in Italia era egemone.
Era sì alto ma non bello, non era particolarmente socievole, anzi social, ci teneva al suo privato, aveva un naso che rendeva il suo viso intensamente problematico, ma più di tutto era stonato come una campana, nel senso che proprio non la sentiva la musica, era lui stesso a dirlo, e te ne accorgervi quando lo ascoltavi dal vivo, ma è/ è stato, senza dubbio, uno dei più importanti interpreti e compositori di quella leggera e inconsistente tessitura di musica e parole che sono le canzonette, senza che le sue canzoni avessero nemmeno lontanamente la forma e la sostanza di quello che normalmente si produceva in Italia.
Come è stato possibile?
È accaduto semplicemente che si sia affiancato, musicalmente, a chi investiva sui sentimenti, a buon mercato, rompendo, innanzitutto, il tabù della bellezza, e usando il suo corpo come vettore di accessibilità per i suoi testi, rendendo in questo modo le sue canzoni facili e per tutti.
Dopo è stato semplice continuare a sperimentare, a produrre, a contaminare, e a rendere potabili concetti esistenziali, necessari, ma accessibili solo a chi oltre "alle gambe ha qualcosa in più", tanto da diventare sempre più fisicamente distante, proprio perché era verbalmente presente nelle sue canzoni, canzoni che come testi religiosi, a uso dei laici, andava scodellando di anno in anno, toccando tutto ciò che in un modo o nell'altro entrava in attrito con la vita nostra, e facendolo passare attraverso la cruna dell'ago del pensiero, pensiero reso liquido dalla musica.
Non è strano che nel momento in cui la malattia lo prese, scomparve completamente, proprio perché al di là dei discorsi sull’intellettualismo delle sue canzoni era il corpo il centro dei suoi interessi.
Quel corpo che faceva danzare, e piroettare alla maniera dei dervisci, abbattendo secoli di tuca tuca e di danze caraibiche, a colpi di sufismo, mentre curava mali antichi ed eterni, mali che conosceva benissimo, e che attraverso le sue canzoni diventavano plastici, tanto da potere essere modellati e risolti, grazie a lui, nello spazio diverso di una melodia.
Eppure, poi, nel tempo quel giocatore di poker si era ieraticizzato, al punto da rimanere incistato nel supersonaggio che era, e che aveva costruito nei lunghi anni di certosino lavoro musicale.
La misura di questo fu quando venne nominato dal presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, come Assessore alla Cultura, e fu costretto a dimettersi perché accusato di sessismo.
Uno scivolone ma anche la conferma di quanto Franco Battiato fosse al di là di qualsiasi classificazione di genere, proprio perché cercava una legittimazione sociale differente, un primato dell’intelligenza e del misticismo che poco c'entra con i generi sessuali, di cui Franco Battiato mai si è interessato, del "cuore, sole, amore" mai si è curato, al punto di credere che non ci fosse bisogno di stare ancora a ragionare di questo e di maschio/ femmina, quando poi per tutto il tempo della sua attività, e della sua produzione musicale, ha cercato la ricomposizione del sé, ma oggi più di ieri è difficile ragionare alla Battiato maniera, e quindi va bene comunque.
Senza Franco Battiato non sarebbero esistite cantanti e interpreti eccezionali come Giuni Russo, Alice mai sarebbe arrivata al successo, e la stessa Milva, senza Battiato, mai sarebbe potuta scendere dal palco, in mezzo alla gente, alla maniera di Giorgio Strehler, ma liberata da tutte le sue gabbie.
Franco Battiato è stato una manciata grandissima di momenti, e la lista dei suoi brani sarebbe enorme e ricca di note da appuntare, una rivelazione, insomma. Una rivelazione che faceva fare pace al cervello e che metteva cuore, testa e pancia in asse, come è giusto che sempre accada, se davvero si vuole vivere da persone libere attraverso la musica.
Ecco questa è stata la più grande rivoluzione operata da Franco Battiato grazie alle sue canzoni: liberarci dall’urgenza di vivere senza pensare, dimostrandoci, al contrario, che per danzare e per vivere per davvero servono la speculazione filosofica e l'orecchio musicale.
Un grandissimo colpo da giocatore di poker.
Quello che è sempre rimasto.

«Al momento della morte non avviene una morte “reale”, perché la nostra natura innata è al di là del tempo. Nel Bardo le fiamme non possono bruciarci, le armi non possono ferirci, tutto è illusorio e privo di sostanza: tutto è vacuità. […] Le esperienze che appariranno al momento della morte sono inconcepibili. La cosa più importante è ricordare di non essere tristi o depressi, non ve ne sarebbe motivo. Bisogna mantenere piuttosto l’atteggiamento di un viaggiatore che ritorna a casa. Tutti, più o meno, siamo prigionieri delle nostre abitudini, paure, illusioni. Le sofferenze dovrebbero indurci ad abbandonare l’ego, che chiude la strada del ritorno alla nostra natura divina».

Franco Battiato - Attraversando il Bardo. Sguardi sull’ aldilà, Bompiani, Dvd con libro

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