Cerca

Personaggi

Gianfranco Fini: una storia tutta italiana

Gianfranco Fini: una storia tutta italiana

Gianfranco Fini è un passionale sentimentale, e su questo piano inclinato e assolutamente periglioso si è giocato la vita, e una carriera politica che aveva scalato con determinazione, e grazie all’investitura pubblica e privata di Giorgio Almirante, e anche di sua moglie Raffaella Stramandinoli Almirante, conosciuta come donna Assunta. Addirittura donna Assunta sottolineò il fatto che Gianfranco Fini avesse anche lui, come suo marito, gli occhi azzurri (la famigerata razza ariana) colore che aveva trasmesso anche a sua figlia Giuliana, la figlia maggiore di Gianfranco Fini e di Daniela Di Sotto, la prima signora Fini. Si erano innamorati quando lei era ancora sposata con un militante del Msi, al punto che volarono botte, ma alla fine l'amore prevalse.
È evidente che Fini non è stato solo questo, anzi questo contribuisce a caratterizzarono in maniera più "ruspante", e lo mette in una condizione di maggiore vicinanza a quel popolo italiano, che sotto sotto ha sempre desiderato di tornare a quando c'era "Lui", ma che ha evitato di prendere posizione fino a quando Fini fondò nel 1995 con la svolta di Fiuggi "Alleanza Nazionale, permettendo a Giorgia Meloni oggi, unica donna in Italia, di diventare Presidente del Consiglio.
Dimenticare che lui sia stato l’artefice di questo incredibile processo politico, che ha portato la Meloni a Palazzo Chigi, vuol dire non rendere merito a un uomo che piaceva proprio perché non rappresentava l'idea e la realtà del militante fascista italiota, e forse grazie anche a questa vita da feuilleton dove lui si innamora davvero, fino a sporcarsi la fedina penale per questioni immobiliari e familiari.
Una storia che ricorda un po' i trascorsi del Duce con la Petacci, perché i i due, Benito Mussolini e Gianfranco Fini, hanno moltissimo in comune, in virtù delle donne che per loro sono stati fatali, la Petacci e la Tulliani, a rimarcare un'appartenza politica fortissima che è anche un'appartenenza identitaria.

Claretta l'hitleriana

«La Pompadour, mi chiamano… Ma perché non la Walewska o Cleopatra?». A scrivere questo è Clarice, detta Claretta, Petacci la donna di potere più complessa e meno compresa di questo Paese. Un fatto molto più che normale questo, visto che il fascismo con le sue distorsioni e le sue verità è ancora un terreno molle, terreno molle difficile da compattare perché il contesto in cui bisognerebbe operare, quello di una revisione critica e ragionata del fascismo, è sempre più difficile da percorrere, soprattutto in questo momento storico, momento storico in cui lo spirito populista è più che mai presente nel quotidiano, un quotidiano sempre più svuotato di senso.
La parabola umana della Petacci è esemplare, in questo senso bene ha fatto Mirella Serri a scriverne nel suo libro edito da Bompiani e dal titolo: “Claretta l'hitleriana. Storia della donna che non morì per amore di Mussolini”, soprattutto perché la Petacci, grazie al rapporto privato e privilegiato che aveva con il Duce, era altro da ciò che fino ad ora si è scritto di lei. La Serri ha potuto accedere ai carteggi, sin ora, secretati tra il Duce e la donna che più di chiunque altra lo "manipolò", al punto da diventarne consigliera e compagna di patibolo, non solo per amore, ma perché il loro essere coppia di potere li rendeva indissolubili.
Per raccontare la storia serissima e il percorso di questa dark lady modernissima, la Serri sceglie la forma del romanzo, un romanzo storico documentatissimo che però è "rosa" come è giusto che sia, visto che il boudoir è il luogo in cui ogni cosa si decide e si consuma. Il libro è un ritratto di Stato, borghese, che innanzitutto restituisce alla Petacci un ruolo pensante, consapevole, una dignità, malata, ma non per questo meno importante.
La Petacci che visse tre volte secondo la Serri, prima di conoscere il Duce, dopo, e a morte avvenuta, se fosse vissuta in un altro paese sarebbe stata ricordata proprio in virtù del suo essere una donna determinata e crudele, e mai sarebbe passata alla storia solo come una donna innamorata, perché, paradossalmente, questo ricordo edulcorato della Petacci, più che il finale drammatico e brutale della sua parabola umana, è disumanizzante.
Ma sul corpo scomposto dei due protagonisti di questa storia italiana, che passando attraverso il boudoir - quello più frequentato e più pubblico del paese, facevano da "promoter" a Hitler - si è giocata tutta la storia e tutta la partita del nostro paese. La Petacci lo ha fatto in maniera più lucida e spietata .
Il libro ha un impianto interesse ed è per tutti, anche se tante domande lascia ancora inevase, come quelle sulla fine che hanno fatto tutti i soldi, i tanti soldi nella disponibilità della Petacci e della sua famiglia.
Non è peregrino credere che siano rimasti a loro, come una sorta di lasciapassare, un viatico capace di dare alla vita della Petacci una cornice rosa, dove di rosa, inteso nei termini di un rapporto d'amore idilliaco e disimpegnato, non c'era nulla.
Il peso del potere e dei soldi accumulati, e il loro essere stati il motore di tutte le azioni della Petacci e dei suoi familiari, è il peso stesso della storia del nostro paese.
Questo rapporto tra il Duce e la Petacci dimostra anche che la complessità dell’uomo più potente d'Italia - dopo di lui solo Craxi ha avuto la stessa ferina visione della politica e delle cose - passa attraverso i suoi rapporti con le donne: la Sarfatti, donna Rachele, sua figlia Edda, la Petacci, e solo capendo questo se ne comprende la parabola esistenziale, perché Benito Mussolini era un uomo che amava le donne, quelle che servivano a stimolarlo sessualmente, e quindi intellettualmente, allo stesso modo in cui amava la lotta corpo a corpo.
Un cocktail di soldi e di donne, inebriante perché senza i soldi e senza le donne Mussolini non sarebbe esistito, e per questo la Petacci necessitava di essere edulcorata, senza pietà.
A questo punto è molto più che chiaro come la storia di Fini e la sua parabola esistenziale sia saldata alla storia del paese, come questo libro dimostra.
Ma per arrivare a comprenderlo a pieno serve anche capire che è esistito un traghettatore nel caso di Gianfranco Fini, un traghettatore che porta il nome di Silvio Berlusconi. Uno che ha reso tutto possibile e accessibile, non per vanità ma perché la vendita, ambito dal quale lui proveniva, per “riscaldare” gli animi deve trasformare in merce ogni cosa, sentimenti compresi, così da renderli innocui, tangibili, in maniera di poterli "condire" e di poterli consegnare al pubblico, per creare una narrazione leggera e egalitaria dei mondi.
Se prima la destra, con l'avvento della democrazia in Italia in maniera più forte, aveva usato la rispettabilità come marchio di inclusione sociale e di identificazione per le masse, dopo l’abbraccio con Silvio Berlusconi c'è stato un totale sbracamento, a cui Gianfranco mise pose fine con l'allontanamento dal partito azienda, ma nel mentre si era allontanato anche da sé, per amore e per passione, alla solita maniera e cioè grazie ai soldi, al sesso e al potere, con la differenza che oggi il finale non contempla, fortunatamente, la morte di nessuno.
Ecco a cosa è servita la democrazia.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione