IL MATTINO
Cultura
14.11.2023 - 11:26
Karen Dinesen Blixen senza la Letteratura mai sarebbe stata diversa da qualsiasi donna borghese della sua epoca, amante com'era della vita e dei suoi riflessi: l’arte della conversazione, i bei vestiti, il buon cibo e le feste.
Era un talento puro, la prova che esistono persone abitate dal demone della scrittura, demone che le possiede senza alcun tipo di mediazione, un talento che fece della sua vita e delle sue abitudini un esperimento letterario.
La sua vita fu una felicissima mano di poker, mano giocata fino alla fine in maniera impeccabile, e che ebbe lei come unica protagonista, una protagonista che si appassionava al mondo e alle sue leggi, quelle terrene, in cui intravedeva il divino.
Era questa la sua magia: credere che il mondo fosse animato di bellezza, al punto di travasare questa idea in ogni cosa, fino a rendere i riflessi della sua mente realtà.
Anche l'amore per lei era un riflesso, riflesso con cui mantenere fede a sé, più che un fatto reale.
Sposò Bror von Blixen-Finecke solo perché era il gemello di Hans von Blixen-Finecke, il cugino di cui era innamorata, un modo per congelare e preservare il sentimento che provava, giusto o sbagliato che fosse, era il suo modo di appianare la vita, attraverso una riscrittura in itinere, una sterzata, che come un taglio di editing le consentiva di non perdere niente di ciò che riteneva appartenerle.
L'incontro con l’Africa fu per lei salvifico, malgrado le disavventure finanziare, e il dolore per la perdita dell’amore, o meglio per la perdita della sua illusione di felicità, determinata dalla morte di Denys Finch Hatton, aristocratico inglese con cui condivideva passioni e frivolezze con la stessa autentica intensità.
Perché in Karen Blixen è la potenza delle illusioni a rendere perfetta ogni cosa, anche quelle cose che sono tutt’altro che perfette.
Lo scopo ultimo e forse unico di Karen Blixen era quello di uccidere il tempo e nella sua opera tutto concorre a ciò. Nessuno scatto improvviso, nessuna accelerazione, solo il suono del suo passo felpato, quello della cacciatrice che era.
Tutto vero quindi ma anche tutto falso.
La baronessa, come anche amava essere chiamata la Blixen, deve la sua immortalità letteraria proprio al suo essere stata una Diana cacciatrice, attenta osservatrice e stratega, al punto da avere abilmente “manipolato” la visione del mondo, una visione la sua in cui l'elemento coloniale era preponderante.
Per questa ragione Karen Blixen è stata una grande illusionista: ha saputo dare al colonialismo, al mondo diseguale tutto, quella patina di rispettabilità e di glamour che mai prima aveva avuto per mano di una donna.
La Blixen ha raccontato l'Africa per come è sempre piaciuto vederla agli europei, quell'Africa fatta di tramonti e di distese sconfinate, un’Africa in cui gli indigeni, benché ritratti in maniera felice, rimangono subalterni e incapaci di modificare il proprio destino, se non opportunamente addomesticati dagli europei.
Una visione funzionale a giustificare il mondo di ieri, e anche quello di oggi, e che vedeva l'uomo/donna, da lei interpretati nella vita e sulla pagina scritta, come demiurgo benché a "corredo" dell'universo e dell'armonia mundi.
Il suo essere “uoma” la portò anche a promuovere due “Big Game Hunter In Africa", una attività la sua che oggi sarebbe tutt’altro che accettata ma che per lei era vitale, come era vitale e importante per lei il rapporto che aveva con il marito, al punto da affermare:« Se potessi desiderare qualsiasi cosa della mia vita passata, sarebbe fare un safari con Bror »
La stessa sifilide, più che essere una malattia contratta dal barone von Blixen, è probabile fosse un'eredità paterna, anche il padre morto suicida ne soffriva, un fatto che dimostrerebbe, ancora di più, quanto la capacità di levigare la vita e non solo le parole sia stata il pregio più grande della Blixen, da qui la sua assoluta autenticità come scrittrice.
Allo stesso modo la sua abilità di cibarsi di storie, quelle che scambiava sotto il cielo del Kenya con i famigli, è stata una felicissima intuizione, tanto felice da farla diventare la grande scrittrice che è stata ed è, perché quelle storie hanno preso altre strade e altre forme, e sono state rese metropolitane nei suoi libri successivi.
Di certo “Out of Africa”, il successo cinematografico del libro (favorito anche dalla presenza di Meryl Streep, Robert Redford e dalla colonna sonora di John Barry) ha trovato un così largo consenso tanto da farla diventare ancora più famosa come scrittrice, perché l'Africa come luogo da consumare con l'occhio del colonialismo è ancora carne viva e vera per noi.
Rimane altro, perché la sua vera produzione letteraria è altro e più che il romanzo sono i racconti la sua forza, perché la Blixen, pur avendo la possibilità di potere dilatare tempi e storie in intrecci più lunghi, preferì la forma letteraria del racconto.
Nel racconto riuscì a dare concreta consistenza al suo bisogno di giocare con l'enigma che la abitava e che ci abita, e che le faceva avere della vita una dimensione tridimensionale.
E qui c’è tutta la genialità della Blixen “uoma”, la sua vera essenza, e nella pagina scritta poco conta se sia stato tutto un grande sogno o la realtà fattuale di ogni cosa.
E così nella scrittura, mentre nascondeva e rivestiva la sua zona oscura di bellezza e di evidenza, arrivava a rarefarsi, come aveva fatto nella vita, visto che l’anoressia nervosa più che la sifilide la consumò.
Se quindi vogliamo e possiamo riconoscere un merito a Karen Blixen è quello di avere vissuto e scritto senza esitare, tanto da impastare parole e carne così da cesellare il mondo per sé e per i suoi lettori, un mondo che con il suo passo sicuro e cadenzato acquista spessore e leggerezza, in luogo del caos e delle difficoltà.
Insomma la Blixen è stata una donna sola che ha imparato a farsi compagnia scrivendo. Se poi abbia mistificato ogni cosa poco conta o meglio non è assolutamente funzionale all'interno del grande gioco che è la Letteratura.
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