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C'erano una volta "I bastardi di Pizzofalcone"

C'erano una volta "I bastardi di Pizzofalcone"

Maurizio De Giovanni da quando ha iniziato a scrivere gialli, professionalmente, non si è fermato più. E con la stessa intensità con cui ha scritto è andato in giro a parlare dei suoi libri. Senza risparmio. Una cosa che lo discosta dalla gran parte degli autori italiani, che vivono con fatica questo aspetto necessario della vita dello scrittore: il bagno di folla, senza il quale oggi è praticamente impossibile aspirare alla benché minima visibilità e quindi alla vendita dei libri e alla popolarità. In Campania non c'è posto dove non sia andato, del resto gestisce con molta professionalità e gentilezza i suoi appuntamenti. La Napoli che descrive nei suoi libri è polifonica, una cosa che traspare interamente dalla serie televisiva "I bastardi di Pizzofalcone", serie cui collabora come sceneggiatore. Dei libri sono rimasti, nella trasposizione per il piccolo schermo, l'atmosfera barocca di cui Napoli è intrisa, gli snodi narrativi, snodi in cui la sottrazione operata sui personaggi, per ricostruire poi le scene in cui avvengono i delitti, risulta fondamentale per scavare, senza esprimere giudizi morali su nessuno, come se vi fosse sempre un grande occhio, capace di raccogliere e contenere qualsiasi personaggio, qualsiasi luogo, ancorandolo. L'elemento più importante è però l'operazione che viene fatta attraverso la serie televisiva: rendere Napoli una città italiana. E così i piani sequenza si allargano, il traffico è lo stesso di Roma, di Milano, gli attori recitano senza indulgere in caricature macchiettistiche, neppure dal punto di vista del linguaggio. Praticamente “I bastardi di Pizzofalcone” sono stati la prima vera operazione culturale di unificazione in Italia, come accadeva con la TV degli anni '60 e '70, TV dove i gialli avevano la loro importanza e dignità, soprattutto perché il giallo ha avuto ed ha in Italia una nutrita fila di lettori, fin da quando la Mondadori inaugurò la sua collana gialla e nera, da qui il nome. Il risvolto di un'operazione del genere è enorme, ad avvantaggiarsene non è stato solo Maurizio De Giovanni, ma tutto il tessuto culturale che a Napoli c'è ed è vivo. Così la capacità di fare decantare le storie, di dilatarle, grazie anche alla bellezza mesmerizzante dei luoghi, consente di graffiare l'immagine perennemente distorta di una città che con le sue tinte forti, i suoi salotti buoni è uguale al resto del Paese, bastardi inclusi.
E fino a qui va tutto bene, solo che la quarta serie, quella in programmazione adesso, il lunedì su Rai Uno, ha smesso di essere una novità e una piacevole pausa serale, al punto da essere diventata soporifera. La narrazione si è appiattita sul modello delle soap, e tutto ruota intorno alla figura dell'ispettore Lojacono, imbrigliandolo, tanto che Alessandro Gassman sembra essere diventato una copia vivente di San Sebastiano alla Colonna, che in salsa contemporanea potrebbe essere Rambo, a tutto discapito e dell’attore, che risulta essere incatenato e non più sciolto e dinoccolato, privato com'è del piglio dei Gassman che si muovono sulla scena con il passo felpato e deciso, e del pubblico. A parte Gianfelice Imparato e Massimiliano Gallo, che in questa fiction (più nelle altre di cui è protagonista e comprimario) dimostra, per sottrazione, tutta la sua bravura di attore, gli altri girano in maniera corale ma anche anonima.
Insomma la serie è irriconoscibile e il pacchetto di storie che si aprono e si chiudono, si chiuderanno (?) a mo' di soap non rendono giustizia a tutto il lavoro che è stato fatto sui testi, dagli attori e su Napoli.
A Napoli esiste un centro di produzione Rai che grazie a prodotti televisivi come “Un posto al sole”, soap quotidiana seguita a Sud come a Nord, ha contribuito a creare un'attenzione differente rispetto la vita a Sud, tanto da determinare un importante incremento turistico e la nascita di professionalità capaci di raccontare la realtà meridionale in maniera più pop e trasversale, senza stare troppo a tirare la corda del degrado umano e del degrado culturale, proprio perché sono prodotti pensati per accompagnare le vite di tutti, più che a metterle in tensione favorendo distacco e razzismo.
Da qui la scelta di registri narrativi differenti, con un occhio particolare alla composizione visiva e testuale del mondo dei fotoromanzi, mondo di cui soprattutto Il Commissario Ricciardi, più che I bastardi (per rimanere nel campo letterario in cui Maurizio De Giovanni opera) sono imbevuti.
È vero che siamo lontanissimi dalle atmosfere che si respiravano nelle trasposizioni televisive di opere letterarie compiute da Sandro Bolchi, un esempio su tanti, ma allora si parlava a un'Italia differente, un' Italia proiettata verso il progresso economico, e impegnata nella costruzione di un'identità che passasse attraverso la narrazione di storie universali.
Adesso è il quotidiano minuto, e strettamente territoriale, a parlarci, attraverso la politica e quindi attraverso la Letteratura.
Ed è per questo che l'operazione Maurizio De Giovanni in tutta la sua monocorde varietà piace al pubblico, piace proprio perché rimette in circolo parti di discorso andate disperse, e propone un modello di Italia reale, benché borghese e scontata, ma è proprio questo a piacere, forse perché di massa e di ferocia senza nerbo è piena la realtà, al punto da essere finta, molto di più delle artificiali costruzioni letterarie operate da Maurizio De Giovanni.
E comunque non è casuale che alcuni degli attori delle fiction di Maurizio De Giovanni vengano da "Un posto al Sole", come nel caso di Serena Rossi protagonista indiscussa di Mina Settembre , una fiction che senza la sua presenza perderebbe l’80% d’appeal, come non è casuale che il pool di sceneggiatori che lavorano con Maurizio De Giovanni siano per lo più napoletani, napoletani che in alcuni casi sono stati allievi della Holden, e quindi di formazione non solo partenopea.
Con la morte di Andrea Camilleri si era aperto un vuoto che più che letterario era legato proprio al mondo della produzione televisiva, Maurizio De Giovanni sembrava destinato a riempire questo vuoto, più di qualsiasi altro autore italiano, forte del successo popolare dei suoi libri e della riuscita operazione fatta con la prima serie de “I bastardi di Pizzofalcone”, proprio attraverso la trasposizione televisiva.
Per questa ragione la Rai ha investito sulle opere di Maurizio De Giovanni e il successo di pubblico sembrava darle ragione.
Il cambio di registro e la diversa contestualizzazione dei periodi storici in cui le storie di Maurizio De Giovanni si snodano consente di arrivare a un numero più alto di lettori/spettatori, e di continuare a usare Napoli come palcoscenico letterario, proprio perché Napoli è una città in cui è possibile imbastire sceneggiature e storie in maniera naturale, riuscendo ad attirare chiunque.
A questo punto la domanda nasce spontanea, ha senso banalizzare tutto questo per rincorrere una serializzazione da soap?
La risposta non ce la darà la quarta serie de "I bastardi di Pizzofalcone" ma il futuro.
Speriamo in bene.

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