IL MATTINO
Enogastronomia
21.10.2021 - 12:03
Fresco di stampa e anche di presentazione, tenutasi lo scorso pomeriggio a Potenza, il nuovo libro dello chef Federico Valicenti, edito da Universosud, sembra essere un vero e proprio viaggio letterario e culinario. Già il titolo, “Cibando. Alighieri Dante”, è tutto un programma. Quale sarà mai il legame tra il Sommo poeta e la cucina, e nello specifico quella lucana? Nessuno, si potrebbe pensare. Il legame, però, è ben più profondo e complesso di quel che si possa pensare, soprattutto se deriva da una ricerca accurata e appassionata dell’autore, o meglio del “cibosofo”, come si autodefinisce. Raggiunto telefonicamente, la prima domanda non poteva che essere questa: cosa si intende per cibosofo? «È un neologismo che ho creato per definire il racconto del territorio attraverso il cibo, nulla di trascendentale, né accademico. Non ho creato nulla di nuovo se non amplificare quello che tanti artisti e scrittori avevano già realizzato. E in questo senso la Basilicata ha tantissimo da raccontare».
Da dove nasce l’idea per questo libro e il legame con Dante Alighieri?
«Nasce da una provocazione culturale lanciata da mia figlia, la quale mi ha chiesto se, secondo me, a Dante Alighieri piacesse mangiare. Secondo le testimonianze, sembra che non amasse particolarmente il soverchio, i cosiddetti pranzi luculliani. Nonostante questo, aveva un grande rispetto del cibo dovuto anche alla sua cristianità».
Cosa ha scoperto su Dante durante la stesura del libro?
«Per prima cosa un aneddoto: si narra che mentre Dante stava seduto su un sasso a Piazza Duomo a osservare le persone intorno a lui, un uomo gli si avvicinò e gli chiese quale fosse il miglior alimento al mondo, e il Sommo poeta rispose: l’uovo. L’anno successivo, nello stesso giorno e nello stesso posto, gli si avvicinò ancora quest’uomo e gli chiese “condito con cosa?” e lui rispose “cum sale”, con il sale. Io penso che da qui parta la sua filosofia perché l’uovo in qualche modo è simbolo della nascita e della resurrezione.
Per me è stato molto interessante studiare il suo pensiero e scriverne non da un punto di vista accademico, ma attraverso una sorta di storytelling, come lo definiremmo oggi. È curioso osservare, inoltre, come l’epoca in cui visse Dante sia ricordata come un’epoca buia, pur avendo ospitato personaggi come Federico II, San Francesco, Ildegarda di Bingen e soprattutto i precursori della scuola di cucina salernitana, fatta di spezie e di profumi».
Può raccontarci qualche chicca che ritroveremo all’interno del libro?
«A un certo punto nella Divina Comedia, Dante fa rifermento a delle persone confuse e smarrite come quelli delle “nove cose”. Così dopo qualche ricerca scopro che nella Firenze del 1200, quando si uccideva qualcuno, sarebbe bastato mangiare nove cose, su nove tombe, per nove giorni per ottenere il perdono della famiglia dell'ucciso. Ho trovato quindi una piccola assonanza con un’antica tradizione lucana per la quale durante la Vigilia di Natale era buona abitudine mangiare proprio nove cose. Nel “Convivio” e in altri scritti minori, invece, parla di altri alimenti come nel caso del “piadone”, una pietanza ebraica che tanto ricorda il raviolo lucano, sulle nostre tavole solitamente nel periodo di Pasqua. E qui ritorna un po’ il concetto della resurrezione e della rinascita di cui abbiamo parlato prima. Per questo ho deciso di inserire come prima ricetta una che ha come protagonista l’uovo, adagiato su una fetta di pane e accompagnato dal tartufo. Il pane, fatto di grano e cotto in forno, mi ha ricordato in qualche modo un grembo materno che in questo caso accoglie e “protegge” l’uovo, per poi finire con il tartufo che rimanda alla terra».
Una prospettiva visionaria e profonda, quella dell’autore, che ha unito la sua passione per il cibo a quella per la cultura in ogni sua forma. Il suo obiettivo non è quello di legare banalmente delle pietanze a Dante, ma di realizzare uno studio approfondito di tradizioni fiorentine duecentesche accostate a quelle lucane. Un libro che celebra perfettamente i settecento anni dalla scomparsa del Sommo poeta, e lo fa con una modalità del tutto nuova.
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