IL MATTINO
Salute
22.01.2021 - 10:01
Ho letto un bell'articolo della dottoressa Anna Maria Nicolò, Presidentessa della Società Psicoanalitica Italiana, in cui accennava alla trasmissione di generazione in generazione di traumi collettivi -in riferimento alla pandemia che stiamo attraversando- come successe con la Shoah e le Guerre. Le ricerche neuroscientifiche, infatti, hanno mostrato come gli effetti di questi eventi massivi abbiano interessato non solo i sopravvissuti ma anche i loro figli e i loro nipoti. Quando parliamo di traumi, distinguiamo quelli dovuti ad un evento fisico (terremoti), la cui natura è, appunto, fisica, e quelli dovuti a mano umana (abusi, maltrattamenti), la cui natura è, invece, relazionale. In quest'ultimo caso, ad essere distrutta è la connessione umana, la fiducia nell'Altro e con più probabilità si associano a disturbi di personalità, riflettendo quanto la relazione umana sia fondamentale nell'organizzazione e nella definizione della nostra identità. Perché la Presidentessa ha fatto riferimento alla Shoah? Dopo il silenzio iniziale in cui i sopravvissuti si erano chiusi, solo nel 1967, durante il Congresso della Società Internazionale di Psicoanalisi, s'iniziò a parlare di quanto accaduto e nella stessa occasione vennero descritti cambiamenti permanenti nella personalità dei sopravvissuti simili a quelli psicotici. C'è anche da dire, però, che la prima generazione ha raramente cercato aiuto e quasi tutti i sopravvissuti, al rientro a casa, si sono chiusi essi stessi nel silenzio. Per protezione, negazione o perché certi che nessuno avrebbe potuto capire; per questa ragione, frequentavano soltanto chi avrebbe potuto farlo senza necessità di parlare. Negli anni successivi, sono state osservate alcune particolarità nei loro figli: venivano internati alla stessa età in cui i genitori erano stati internati nei campi, adottavano comportamenti che i genitori sopravvissuti avevano dovuto reprimere proprio alla stessa età ed alcuni figli portavano il nome dei fratelli morti nei campi, ritrovandosi, così, a vivere una vita non loro, in bilico tra il passato non elaborato dei genitori e il futuro. È un discorso molto complesso da affrontare ma credo sia importante iniziare a riflettere su quanto la scienza ha ormai confermato: tutto quello che noi viviamo non si esaurisce con noi e con la nostra vita, e questo è vero soprattutto quando viviamo eventi collettivi così importanti. Il Professor Vicari, primario di Neuropsichiatra Infantile del Bambino Gesù, ha recentemente affermato di non aver mai avuto così tanti accessi al pronto soccorso e tentativi di suicidio tra gli adolescenti. Quanto altro tempo dovrà passare prima di capire che questi accessi in pronto soccorso sono solo l’inizio degli effetti distruttivi di questa pandemia e che i nostri ragazzi e i loro figli che verranno hanno bisogno di noi, ora?
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