IL MATTINO
Analisi
19.12.2025 - 19:45
La pubblicità della Leapmotor T03, citycar elettrica prodotta dal colosso cinese e distribuita in Italia grazie alla joint venture con Stellantis, è emblematica delle contraddizioni in cui si muove oggi la politica industriale italiana ed europea. Grazie agli incentivi statali 2025, previsti dal decreto ministeriale 8 agosto 2025 (Gazzetta ufficiale numero 208 dell’8.9.2025), l’auto viene proposta a un prezzo finale di circa 4.900 euro, sommando contributi statali fino a 11.000 euro, il bonus del distributore e la rottamazione di un veicolo della stessa categoria, a determinate condizioni di reddito.
In buona sostanza, una vettura cinese viene acquistata con massiccio impiego di risorse pubbliche italiane. Il paradosso è evidente: la stessa Stellantis, partner industriale dell’operazione, mette in cassa integrazione gli operai dello stabilimento di Melfi, ex Fiat Sata, uno dei pilastri produttivi della Basilicata e dell’intero Mezzogiorno. Da un lato lo Stato finanzia la penetrazione dell’industria automobilistica cinese nel mercato europeo; dall’altro paga gli ammortizzatori sociali per i lavoratori italiani espulsi o sospesi dal ciclo produttivo. In entrambi i casi, il costo ricade sugli stessi cittadini. È lecito chiedersi come sia possibile che nessuno, ai vertici del Governo, abbia valutato gli effetti sistemici di queste scelte: incentivi concepiti senza una vera politica industriale, che finiscono per indebolire la manifattura nazionale, accelerando la desertificazione produttiva. Ancora più inquietante è il contesto:
mentre si prende atto — seppur tardivamente — del fallimento di una transizione green imposta senza preparazione della filiera europea, lo Stato e l’Unione Europea sembrano individuare nella riconversione bellica una via di fuga per tamponare l’emorragia occupazionale. Un cambio di paradigma che appare dettato più dalla necessità che da una visione strategica. Il risultato è una politica miope:
incentivi verdi che distruggono occupazione; investimenti militari presentati come soluzione economica;
territori fragili, come la Basilicata, lasciati soli a pagare il prezzo più alto. In tutto questo emerge il ruolo ambiguo della Commissione europea, sempre più distante da un autentico mandato democratico, e quello di Stati nazionali che inseguono modelli decisi altrove, senza una traiettoria chiara a 10, 20 o 30 anni. La Basilicata, ancora una volta, viene trattata come una terra sacrificabile: uno stabilimento che chiude o si svuota, centinaia di famiglie private di certezze, un intero territorio messo in liquidazione.
E tutto questo mentre si parla di transizione, sostenibilità e futuro. Ma senza industria, senza lavoro e senza visione, non c’è alcuna transizione: c’è solo declino!
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