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10.12.2025 - 16:43
Ogni volta la stessa solfa: quando servono i voti, la sinistra e i 5 Stelle invocano il “campo largo”, predicano apertura e pluralismo. Una volta ottenuta la vittoria, però, scatta l’antica presunzione: “grazie dei voti, ora decidiamo noi”. Il caso Mastella–Fico è solo l’ultimo, ma è rivelatore. Mastella porta consenso determinante, trascina un pezzo di territorio che altrimenti non avrebbe scelto quella coalizione; e il nuovo presidente, appena insediato, esclude suo figlio Pellegrino dalla giunta, rivestendo la decisione con l’ennesima patina pseudo-moralista.
Il messaggio è chiaro: l’apporto degli alleati vale finché serve a vincere, non quando si tratta di governare. È un modo subdolo di riscrivere il patto dopo il voto, tradendo non solo chi ha fatto campagna, ma soprattutto gli elettori. Perché chi vota sulla base di un’alleanza si aspetta coerenza, non regole inventate dopo lo spoglio.
È l’ennesima dimostrazione di una superiorità etica presunta, utilizzata come scudo per esercitare un potere esclusivo. Si predica inclusione, ma si pratica l’esclusione; si invoca la “discontinuità morale”, ma la si usa per zittire chi non appartiene alla cerchia. E così la politica perde credibilità: perché se il voto altrui diventa solo un mezzo per salire al comando, allora la democrazia si riduce a un rituale utile finché conferma l’agenda dei più forti.
Il caso campano non è una polemica personale: è un avvertimento. Le alleanze non sono taxi da prendere e abbandonare alla prima fermata. Senza rispetto dei patti, senza pari dignità tra chi contribuisce alla vittoria, non c’è coalizione: c’è solo un esercizio di forza mascherato da moralità.
Assurdo! Viva il proporzionale puro.
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