IL MATTINO
Personaggi
20.11.2025 - 19:28
Esistono delle persone capaci di autodeterminarsi, al punto di decidere anche quando morire. La cosa ai più appare strana, la morte è il solo argomento tabù che gli umani amino non superare, perché della morte propria non si parla e nemmeno la si immagina, soprattutto oggi che la morte degli altri scorre distante e sui supporti elettronici, tanto da potere essere allontanata da sé.
Per essere a passo con la morte, la propria, invece, è necessario ogni giorno stare dietro alla macchina corpo, auscultarla come nemmeno il medico più bravo farebbe, per poi decidere, quando qualcosa non funzioni più, di trasformarsi in energia e basta.
Avranno pensato e fatto questo le Kessler?
Chissà.
Nel loro caso si tratta dell'esistenza di un doppio, un duale perfettamente identico e sincronico, che non ha la necessità di indagare altri specchi per riconoscersi e vedersi come intero, anche quando è sofferente.
Un'operazione questa di ri-specchiarsi che alla lunga diventa dispersiva, dissonante per gli altri, e che loro nemmeno dovevamo pensare di fare. Di sicuro avranno sviscerato da sempre le ragioni del loro atto, la loro era una scelta di morte annunciata, diversamente sarebbe stata impossibile.
Perché?
Accettare di scomparire perché si è diventati “un animale morente” è parte del nostro codice genetico, ma noi non lo sappiamo più di essere animali destinati all'estinzione, ossessionati dal mito di un esasperante giovanilismo, che fa a cazzotti con lo scorrere e il fluire dell'esistenza e della fine implicita della nostra di vita.
E poi c’è da rilevare un'altra cosa, le esperienze senzienti dei gemelli monozigoti sono più profonde delle nostre, figli unici di noi stessi, legate come sono da una nascita uguale e doppia. Per loro le domande, le risposte, l'esistenza tutta, sono una rielaborazione continua del vissuto, senza possibilità di scampo, ma anche un modo più facile per superare il dolore, un dolore che nel caso delle gemelle Kessler aveva segnato la loro vita. Come ha ricordato Umberto Orsini, che le conosceva bene, e che attraverso una scelta comune dell’altrove hanno, di nuovo, superato e abbattuto.
Vivere e morire autodeterminandosi sono state il loro modo per esistere, a patto di esistere insieme.
In pratica per loro il concetto di coppia era pura realtà, nel senso che non temevano la vita, semplicemente perché giocavano in due, in qualsiasi campo e su qualsiasi piano.
La loro storia fa pensare a Philip Roth e al suo "Animale Morente" e cioè al professore innamorato della giovanissima e bellissima studentessa, che passando dal desiderio sessuale all'amore, grazie all'improvvisa e straziante malattia dell’amata, effettua un percorso esistenziale, così da divenire duale, gemello dell'altro, per cui prova amore e autentica compassione.
L'animale morente
Il titolo del romanzo scritto nel 2001 è tratto da alcuni versi del "Byzantium" di W. B. Yeats:«Consumami il cuore; malato di desiderio/E avvinto a un animale morente/ Che non sa che cos’è.»
David Kepesh, il protagonista, in pratica dice che finché l’amore rimane dentro di noi, è una cosa che può essere gestita. È un sentimento privato, un fatto interiore. Possiamo convincerci di controllarlo, di tenerlo nei confini della mente. Finché amiamo “da soli”, l’amore è quasi un esercizio di immaginazione. È qualcosa che riguarda noi, la nostra idea dell’altro, il nostro desiderio, le nostre fantasie. In questa fase l’altro non ha potere su di noi. Ma quando l’altra persona entra davvero nel nostro sentimento, tutto cambia. Quando ciò che proviamo dipende davvero dall'altro, dai suoi gesti, dalle sue parole, dalla sua presenza, allora l’amore non è più “solo nostro”.
A quel punto l’amore diventa un legame, cessa di essere un’emozione solitaria e diventa una relazione.
Due vite, due vulnerabilità, due libertà che devono fare i conti tra loro.
Ed è lì che comincia il rischio perché allora possiamo essere feriti.
Diventiamo dipendenti, esposti, non più autosufficienti, eppure portatori di Pietas. È in questo passaggio, da sentimento individuale a coinvolgimento reciproco, che l’amore può fare male. Non per cattiveria dell’altro, ma perché non siamo più noi a controllarlo.
È diventato qualcosa di più grande, è passato da essere “ uno a due”.
In pratica , quando Ellen, l’amministratrice delegata della SPA Kessler, è divenuta fragile, Alice, l'altra gemella, ha dovuto mettere in conto che il duale rischiava di rimanere uno, insieme all'impossibilità di vivere autodeterminandosi, e così di comune accordo, come sempre, hanno posto la parola fine.
Il loro finale è lucido come quello di Kepesh e Consuelo, la ragazza da lui amata, perché l'autodeterminazione di Alice si sgretola nel momento in cui Ellen ha più bisogno, diventando ancora più importante, come accade ai due protagonisti del romanzo di fronte alla malattia di Consuelo, l'animale morente.
Roth fa dire a Kepesh che l’amore vero è pericoloso perché comporta perdita di potere, cosa che lui non aveva mai accettato, ma libera anche e permette davvero di aprirsi all'altro e quindi al mondo. Un discorso che vale per chiunque provi dell'affetto autentico, a prescindere dal genere di appartenenza.
«L'unica ossessione che vogliono tutti: l'"amore". Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l'amore ti spezza.Tu sei intero, e poi ti apri in due.»
Non esistono casi simili a questo delle gemelle Kessler, e cioè alla loro decisione di uscire di scena insieme, per quanto i gemelli siano studiatissimi, ma qualsiasi studio sull'argomento non riuscirà mai a essere lucidamente realistico, allo stesso modo di due persone che sin da piccole si sono fatte forza a vicenda, maturando una reciproca compassione, che le ha portate a decidere fino alla fine da loro.
Sullo sfondo di tutto questo potrebbe esserci anche la solitudine o meglio l'impossibilità di pensarsi soli all'improvviso, una cosa che spaventa qualsiasi essere umano, figuriamoci due persone che si trovano in totale simbiosi.
E questo ci dà la misura di quanto il mondo poi sia stretto e piccolo quando si tratta di rendersi visibili, al di là della fama, e riconoscibili come esseri fragili e bisognosi.
Forse la cosa più importante di questa morte annunciata, e perseguita, è il riconoscimento dell'importanza dei rapporti di coppia, qualsiasi essi siano, la necessità di mantenere viva la Pietas, la comprensione e la generosità, di chi volendoci bene ci vede soffrire ma non si tira indietro: salta con noi tenendoci per mano nel buio.
Una storia antica questa, celebrata da pittori, poeti, scrittori, musicicisti, che le Kessler ci hanno "raccontato" in maniera lucida, affettuosa, grazie anche al finale di condivisione, operato attraverso la donazione ad associazioni pubbliche e a persone a loro vicine, dei propri beni, e che è carne viva, tanto da camminare con lo stesso passo dell'animale morente di Philip Roth.
Un congedo in linea con il loro stile di vita, a riprova che si vive per arrivare a morire con consapevolezza, lucidità e umanità.
Vivere è stare svegli
e concedersi agli altri,
dare di sé sempre il meglio,
e non essere scaltri.
Vivere è amare la vita
con i suoi funerali e i suoi balli,
trovare favole e miti
nelle vicende più squallide.
Vivere è attendere il sole
nei giorni di nera tempesta,
schivare le gonfie parole,
vestite con frange di festa.
Vivere è scegliere le umili
melodie senza strepiti e spari,
scendere verso l’autunno
e non stancarsi d’amare.
Angelo Maria Ripellino, Poesie. 1952-1978, Torino, Einaudi 1990
edizione digitale
I più letti
Il Mattino di foggia