IL MATTINO
il caso
18.10.2025 - 15:32
Sigfrido Ranucci
Chi ha piazzato l’ordigno davanti all’abitazione del giornalista Sigfrido Ranucci, a Pomezia, sapeva esattamente quando colpire. Lo sapeva, oppure – ed è l’ipotesi più inquietante – aveva pianificato ogni dettaglio. È questa la convinzione che emerge nelle prime ore di indagine, mentre gli investigatori cercano di ricostruire la dinamica di un attentato che avrebbe potuto uccidere chiunque passasse di lì in quell’esatto momento. L’esplosione è avvenuta nella tarda serata di giovedì, a Pomezia, davanti al cancello della villetta dove il conduttore di “Report” vive con la famiglia. L’ordigno, rudimentale ma altamente distruttivo, conteneva circa un chilo di esplosivo pressato. La miccia è stata accesa a mano: un gesto preciso, ravvicinato, forse osservato da lontano con attenzione. L’onda d’urto ha distrutto l’auto di Ranucci e danneggiato quella della figlia. E proprio la tempistica preoccupa di più: secondo le prime analisi, la bomba sarebbe stata piazzata dopo il rientro della ragazza, appena venti minuti prima della deflagrazione. Un dettaglio che suggerisce una sorveglianza attenta degli spostamenti. Il fascicolo d’indagine è ora nelle mani della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, coordinata dai pm Carlo Villani e Ilaria Calò, sotto la supervisione del procuratore capo Francesco Lo Voi. “Non possiamo tornare ai tempi bui degli attacchi alla stampa”, ha dichiarato con fermezza. Le piste investigative restano tutte aperte: si va dalle minacce ricevute nei mesi scorsi, al possibile coinvolgimento della criminalità organizzata, fino agli ambienti più radicali del tifo ultras. Ascoltato per oltre due ore dai magistrati, lo stesso Ranucci ha fornito elementi ritenuti utili: “Ci sono quattro o cinque tracce importanti – ha spiegato – che però riportano sempre agli stessi ambienti. È difficile da provare, ma il contesto è chiaro.” Un vicino di casa ha riferito di aver visto un uomo incappucciato nei pressi dell’abitazione, poche ore prima dell’attentato. Le telecamere della zona – sebbene distanti – potrebbero aver registrato movimenti sospetti. Per il giornalista, questo rappresenta un’escalation rispetto alle minacce precedenti: “Lo scorso anno avevano lasciato proiettili fuori casa. Stavolta si è superato un limite.” Ma la risposta è netta: “Chi vuole fermarci, non ci riuscirà.” Nel frattempo, lo Stato risponde: il livello di protezione è stato rafforzato, già assegnata un’auto blindata, mentre il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha innalzato l’allerta. Obiettivo delle indagini ora è uno solo: individuare chi ha agito e, soprattutto, chi ha ordinato quell’attacco.
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