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14.10.2025 - 19:48
L’8,4% delle famiglie italiane vive oggi in condizioni di povertà assoluta, una quota che sale al 9,8% della popolazione complessiva. Ma a preoccupare ancora di più è l’incidenza della povertà tra i minori, che nel 2024 raggiunge il 13,8%: un dato mai così alto dal 2014. Significa che più di un bambino su otto, nel nostro Paese, cresce in condizioni materiali gravemente insufficienti. Il divario territoriale è netto. La povertà assoluta tocca il 10,5% delle famiglie al Sud, mentre si attesta al 7,9% nel Nord e al 6,5% nel Centro. Il Mezzogiorno resta così la parte più fragile d’Italia, dove il disagio sociale si trasmette da una generazione all’altra e si accompagna spesso alla marginalità educativa e lavorativa. Lavorare, purtroppo, non mette più al riparo dalla povertà. Il 15,6% delle famiglie di operai è in povertà assoluta, a fronte del 2,9% tra quelle con un impiegato, dirigente o quadro. Anche tra i lavoratori dipendenti in generale, l’incidenza si attesta all’8,7%. Ma non solo: le condizioni peggiorano ulteriormente per chi ha un basso titolo di studio. Tra le famiglie in cui la persona di riferimento ha solo la licenza elementare, la povertà colpisce il 14,4% dei nuclei, mentre scende al 4,2% tra chi ha almeno il diploma di scuola superiore. Le ristrettezze economiche hanno effetti tangibili sulla qualità della vita: il 31,1% delle famiglie è costretto a tagliare sulla spesa alimentare, mentre il 9,9% delle persone ha rinunciato a curarsi per ragioni economiche. La povertà non è solo questione di reddito, ma anche di accesso ai diritti fondamentali. Secondo l’ultimo rapporto Caritas, ben il 59% di chi oggi è povero è cresciuto in famiglie povere. Nel Sud Italia, la percentuale sale al 66%. Un dato che conferma quanto sia difficile uscire da una condizione di disagio economico, con una mobilità sociale praticamente bloccata. Il 48% delle persone povere con basso livello di istruzione dichiara di vivere in condizioni peggiori rispetto ai propri genitori. Come ha osservato monsignor Carlo Redaelli, presidente della Caritas italiana, “oggi ai centri di ascolto arrivano i figli e i nipoti di chi una volta chiedeva aiuto”. Un’altra conseguenza preoccupante è l’impatto della povertà sulla partecipazione democratica. Secondo Riccardo Cesari, docente all’Università di Bologna, «la scelta della non partecipazione è più diffusa tra chi vive in condizioni economiche precarie». La sfiducia nel sistema e l’assenza di prospettive contribuiscono ad alimentare l’astensionismo, un fenomeno in crescita anche in Paesi dalla forte tradizione partecipativa come l’Italia. I numeri raccontano una realtà che non può più essere ignorata. La povertà in Italia è strutturale, intergenerazionale e strettamente legata a fattori come istruzione, lavoro, salute e residenza geografica. Di fronte a questi dati, il Paese è chiamato a ripensare le sue politiche sociali ed economiche in modo profondo. Perché la povertà non è solo un problema individuale, ma una ferita collettiva che riguarda l’intera società.
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