IL MATTINO
Personaggi
01.10.2025 - 15:51
La scrittura oltre che di vita vissuta si nutre di lettura, ovvero della capacità di ascoltare l'altro in totale e assoluto silenzio.E così mentre si scrive per farsi compagnia, si legge per farsi comunità, e in questa ottica è da inserire il nuovo libro di Vittorio Feltri "Chi non legge è perduto. Cosa insegnano i grandi capolavori della letteratura” uscito da pochissimi giorni per Mondadori.
Vittorio Feltri è più noto per la sua verve che per la sua passione per la letteratura, questo libro è una piacevole conferma e la prova che senza la vita e la lettura è impossibile che si possa scrivere con chiarezza, come lui sa fare, al di là delle intemperanze che niente tolgono al fatto che sia un cronista di razza.
Il testo è un saggio sull’importanza della letteratura, in particolare dei grandi classici, come strumento per comprendere il presente. La ragione? La letteratura è il ponte che consente a chiunque di entrare in contatto con mondi diversi, siano essi prossimi o siano essi distanti, favorendo un percorso di inclusione.
Vittorio Feltri sostiene che molti testi che oggi possono sembrare “lontani”, “polverosi”, "noiosi", sono in realtà attuali e utili per interpretare la realtà nostra e per riuscire a riflettere criticamente.
La nota dominante nel testo è la particolare attenzione sul modo in cui la cultura alta (i classici letterari) e la cultura popolare si incontrano, si mescolano, e come grazie a questo la letteratura diventi il cemento dell’identità nazionale, attraverso il modo di raccontarsi che è fatto di dialetti, di costumi locali, di pettegolezzi, di modi di dire, di esperienze quotidiane che, distillati, saggiamente, diventano materia letteraria.
Il giornalista paragona anche le dimensioni della comunicazione moderna, veloce e acefala perché non necessita riflessione, con la lentezza più meditata della letteratura, proposta come antidoto al non pensiero e come mezzo per coltivare il proprio spirito critico.
Virgilio, Dante, Manzoni, Verga, Pirandello, fra gli altri, sono gli autori su cui si focalizza l'attenzione del giornalista.
Il suo è un saggio pedagogico ed è rivolto a chi legge poco e a chi ha una certa distanza dai grandi classici, odiati a scuola con tanta passione.
Attraverso il suo libro Vittorio Feltri tenta di riallacciare un ponte tra il pubblico moderno e la letteratura "storica", partendo dalle basi della cultura "scolastica", che proprio perché è stata vissuta come un'imposizione, dai più, mai ha potuto affermarsi come palestra di libertà e di consapevolezza.
L' idea che la letteratura abbia un ruolo nella costruzione dell’identità nazionale, della memoria collettiva, nel riconoscere ciò che unisce, in un paese spesso diviso, è questo il filo che compare spesso.
Il giornalista sostiene che la lettura dei grandi classici non solo arricchisce, ma è indispensabile per capire il mondo moderno. Secondo lui, chi non legge è culturalmente "perso", incapace com'è di analizzare il presente con profondità.
È la sua una posizione condivisibile nella sostanza, molti autori, da Italo Calvino a Umberto Eco, hanno sottolineato come i classici siano «libri che non finiscono mai di dire ciò che hanno da dire.»
Tuttavia, Feltri sembra legare il valore della lettura principalmente alla sua utilità interpretativa e civica, piuttosto che alla dimensione estetica o esistenziale della letteratura come la bellezza della lingua, l’introspezione, la libertà dell’immaginazione.
Se Daniel Pennac in "Come un romanzo" ribalta la logica dell’ “utilità” della lettura e sostiene il diritto a non leggere, a rileggere, a saltare pagine, Feltri, invece, sembra vedere la lettura come un dovere morale.
L’approccio è centrato sull’Ottocento e sul primo Novecento, con poca apertura alla letteratura contemporanea o extra-europea. Manca, per esempio, un’apertura ai grandi autori del Sud globale o alle voci femminili della letteratura moderna.
Autori come Jhumpa Lahiri, Chimamanda Ngozi Adichie o Annie Ernaux mostrano come oggi la letteratura possa essere specchio di identità fluide, post-coloniali, femminili, queer. Un mondo letterario che Vittorio Feltri non frequenta nel saggio, ma visto il suo intento basico non è nemmeno necessario.
Il suo tono, come spesso accade nei suoi scritti, è diretto, provocatorio, a volte perentorio. Non si rivolge tanto a chi legge per piacere, ma a chi deve capire, deve svegliarsi, deve imparare.
L’obiettivo del libro è mostrare come certi capolavori della letteratura siano ancora vitali oggi, al punto da riflettere i nostri comportamenti e le nostre contraddizioni sociali e politiche.
«Leggere un classico della letteratura italiana è un atto di ribellione» scrive Feltri ed è impossibile dargli torto. Lui utilizza il suo biografismo giornalistico e cioè inserisce esperienze personali, ricordi della sua carriera come cronista, per legare la letteratura all’attualità e ai fatti politico‑sociali che ha vissuto.
In pratica vuole risvegliare l’interesse verso “classici” che rischiano di apparire lontani, e sottolineare che essi contengono ancora strumenti utili per ragionare sul presente, ma che soprattutto sono utili per non andare a ramengo per la vita, senza sapere che pesci prendere, per poi buttarla in caciara facendo solo danni, senza potere davvero essere rivoluzionari.
E poi la cosa più importante, e la vera ragione di questo libro, è nell'ultimo rigo dell'introduzione e cioè che:
«Leggere è un espediente per non morire», una delle interpretazioni più puntuali e vere del senso profondo della letteratura e che incontra anche il sentire di autori diversi da Vittorio Feltri, ma accomunati da questo grande ponte che è la letteratura.
«Certo la letteratura non sarebbe mai esistita se una parte degli esseri umani non fosse stata incline a una forte introversione, a una scontentezza per il mondo com’è, a un dimenticarsi delle ore e dei giorni fissando lo sguardo sull’immobilità delle parole mute.»
Italo Calvino"Lezioni americane” , Oscar Mondadori
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