IL MATTINO
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25.09.2025 - 17:58
Nel giornalismo, la fonte è tutto. O meglio: era tutto. Perché oggi la velocità ha sorpassato la verità, basta una casella di posta elettronica gratuita, un dominio qualsiasi — @gmail, @libero, @tiscali ecc —, una mailing list e un comunicato scritto con tono abbastanza polemico e aggressivo da bucare la soglia dell’indignazione. E poi? Poi diventa notizia. Senza se e senza ma. O meglio, un’illusione di “notizia”. Non perché ciò che viene scritto sia necessariamente vero o verosimilmente falso. Non perché la fonte sia autorevole. Ma perché urla. Perché attacca un sistema o un nemico riconoscibile, possibilmente comune. La logica è semplice: “Se grida abbastanza forte, allora merita spazio”. E tre quarti dei media glielo danno. Non per dovere di cronaca o per il sacrosanto pluralismo ma per pigrizia, per algoritmo, per fretta, per paura di arrivare dopo. O peggio: per connivenza ideologica.
L'esperimento che potremmo fare è tanto banale quanto essenziale: registriamo una casella di posta elettronica come "pendolariincazzati@gmail.com" o "giovanicasariribelli@libero.it" o "piùsanitàpertutti@tiscali.it". Prepariamo un comunicato stampa anche delirante o ricco di castronerie e denunciamo con livore il collasso del sistema chiedendo la testa del presidente, dell'assessore, del sindaco, dell'amministratore, del direttore di turno. Lo inviamo alle testate giornalistiche senza un recapito, senza una firma. Senza un numero di telefono, senza un sito di riferimento, senza la minima possibilità di contattare l’autore del comunicato o un portavoce reale. Solo una email anonima con tono indignato.
Eppure, qualcuno - per fortuna non tutti - lo pubblicherà. Lo pubblicherà come fosse oro colato, come fosse una scrittura sacra, senza neanche chiedersi chi e perchè lo ha scritto. Chi grida e perché grida. E oggi questo basta. Ma dietro c’è (quasi) sempre una regia. E non è solo sciatteria o fretta. Dietro molte “sigle fantasma” nate dalla sera alla mattina, dietro molte operazioni in apparenza spontanee, c’è spesso una macchinazione. Sono cavalli di Troia: associazioni senza statuto, comitati di cartapesta, piccole truppe armate e camuffate da cittadini qualunque che entrano nel discorso pubblico a gamba tesa con lo scopo preciso di colpire un bersaglio solitamente politico. Operazioni ciniche e chirurgiche, spesso orchestrate dall’interno dei partiti o da correnti in guerra fredda o da gruppi nati ad hoc per “sporcare” il campo, burattini e burattinai. Non di rado si nasconde una mano esperta: un ex portavoce, un consulente, un sindacalista o semplicemente un portatore di interessi economici che sa bene come manipolare il sistema dell’informazione. Il comunicato finto è solo la miccia. Il vero obiettivo è infiammare il dibattito, alimentare una protesta mediatica, intasare i social network a colpi di fake news, colpire qualcuno o qualcosa, infangare, destabilizzare, forzare una narrazione. E lo si fa con la complicità inconsapevole (o indifferente) di redazioni che non chiedono, non controllano, non dubitano, non verificano.
Il giornalismo artigianale non fa click. Il fact-checking artigianale, quello vero, è fatto di tempo, di telefonate, di verifiche incrociate, di dubbi. È un mestiere da artigiani, non da catena di montaggio. Ma oggi chi lo fa, perde tempo. E perdere tempo significa perdere click. E perdere click significa perdere inserzioni, visibilità, denaro. Così il ciclo è tossico: la fonte non viene più verificata. Viene accettata e basta. Non serve sapere chi ha scritto quel comunicato, da dove arriva, se rappresenta davvero qualcosa o qualcuno. Benvenuti nel regno dell’ipse dixit digitale. Così le bufale diventano breaking news, le opinioni si travestono da fatti e le “voci” — purché abbastanza velenose — diventano titoli. Nel disordine informativo non vince chi ha ragione, ma chi arriva per primo. Non c'è più differenza tra fonte e finto. Tra errore e manipolazione. Perché la soglia dell’attenzione è così bassa e la fame di contenuti così bulimica, che tutto viene inghiottito senza masticare.
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