IL MATTINO
Analisi
25.04.2025 - 18:53
Quest’anno, la ricorrenza ha coinciso con un evento di portata storica: la scomparsa del Papa. Un lutto che ha catalizzato l’attenzione mediatica e scatenato un profluvio di analisi da parte di intellettuali, veri o presunti, in un esercizio quasi cosmogonico. Alcuni si sono spinti a rileggere l’esperienza della Resistenza come origine di un’identità collettiva utile oggi per affrontare temi come il lavoro, l’emigrazione e l’inclusione. Temi fondamentali, certo. Ma anche, spesso, strumenti retorici che rischiano di svuotare di senso la memoria storica, trasformandola in un contenitore buono per ogni battaglia ideologica.Nel frattempo, qualcosa di ben più concreto e preoccupante è passato quasi sotto silenzio. Solo pochi media indipendenti hanno riportato la notizia che Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha deciso di ignorare un parere legale e il voto del Parlamento europeo per tirare dritto sul piano di riarmo dell’Unione. Un fatto gravissimo, che meriterebbe un dibattito ampio, e che invece viene ignorato — forse perché arriva “dalla parte giusta”. Ed è qui che sorge spontanea una domanda che dovrebbe inquietarci tutti: sta forse maturando una deriva autoritaria, se non apertamente tecnocratica, in seno all’Europa? Perché, si sa, il pericolo per la democrazia sembra esistere solo quando a governare sono gli “altri”, mai gli amici del sistema. Il 25 aprile dovrebbe essere molto più di una parata di frasi fatte. È un’eredità di libertà e valori che non si possono manipolare a piacimento. Una memoria viva, non plastificata. E soprattutto un monito: la Resistenza non è finita, ma si rinnova ogni giorno, nelle scelte, nei silenzi, nei compromessi. In tempi in cui il concetto di libertà viene piegato secondo convenienza, la Festa della Liberazione dovrebbe ricordarci che la democrazia è tale solo se vale per tutti, sempre. E che i suoi colori non sono quelli delle ideologie di comodo, ma quelli autentici della bandiera italiana.
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