IL MATTINO
Cinema
18.01.2025 - 15:53
“Callas” il film di Pablo Larraín è il racconto degli ultimi giorni di vita di Maria Callas, tra disperazione e solitudine, rimpianti e ricordi, accompagnata ed accudita da Ferruccio, il fidato autista e da Bruna, la governante. Il film vede Angelina Jolie come protagonista ed è l'ennesimo tentativo di rianimare vite e carriere artistiche, utilizzando le storie delle persone illustri.
Niente di nuovo, anzi tutto di vecchio, solo che rianimare Maria Callas in maniera banale (la Jolie non ha la fisicità sensuale e l’eleganza sulle scene della Callas e quindi è più defunta della celeberrima cantante) è una delle cose più sbagliate da farsi.
La ragione? La Callas esiste sotto forma di musica e per materializzarla basta sfregare la lampada di Aladino dei suoi dischi per averla davanti a noi in tutta la sua deità, insuperata e quindi questa operazione, potremmo dire esageratamente pop, è la negazione della sua stessa essenza ed esistenza ancora tra i viventi.
Un'operazione di cattivo gusto, buona per un pubblico che ama i feuilleton ma che poco conosce il vero sentimento, alla stregua di ciò che accade nel 2021 con la pubblicazione di un libro postumo e privato che la riguardava.
L' Observer nel 2021 pubblicò in anticipo sull'uscita del libro di Lyndsy Spence su Maria Callas, uscita prevista per il 1 giugno dello stesso anno, un suo estratto. Il libro nacque dal reperimento di materiale inedito, tra cui alcune lettere scritte da Maria Callas alla segretaria, lettere che avrebbero gettato una luce nuova sulla sua vita, ricollocandola in maniera più netta nello spazio che già le appartiene, e cioè quello della "Diva" sulle scene e della donna tormentata ma anche libera nel privato.
Perché libera? Perché la Callas benché fosse stata raccontata sempre come una donna tormentata, nei fatti, era una donna autonoma. Il lavoro le consentiva di badare a sé e a tutti i suoi cari, marito impresario compreso. Proprio in virtù di questa sua indipendenza, la sua vita era una gigantesca gabbia e lei una gallina dalle uova d'oro per chi le era vicina.
Le emozioni, che con la voce lanciava a briglia sciolta, non riuscivano a trovare nella vita un approdo, tanto da farle sbagliare le scelte affettive, così da dovere esistere in maniera molto più melodrammatica delle eroine che rappresentava sulla scena, eroine cui donava una vita intensa e realistica, nello spazio delle recite che approntava in ogni dove.
Esisteva il bisogno di un libro sì fatto, che niente aggiunge a quanto già si sa della Divina?
No ed è anche riduttivo ribadirlo, tanto più che l'autrice è talmente giovane da non potere nemmeno percepire quello che la Callas ha rappresentato, così da poter gestire il materiale in suo possesso in maniera più oculata, ma questo tipo di libri vanno a porsi in una zona frequentatissima dai lettori e aprono nuove strade, soprattutto riportano in vita personaggi e atmosfere ormai lontane e scomparse, in barba alla mancanza di urgenza e di necessità di tali operazioni.
Il libro è una sequela di nomi a corredo di comportamenti non proprio cristallini, che si tratti di Meneghini, di Onassis o della Tebaldi poco cambia il registro. L' occhio di chi scrive è focalizzato sullo sfruttamento totale della cantante, sfruttamento cui lei in alcun modo riusciva ad arginare, come se una stanchezza di vivere perenne la muovesse, stanchezza sedata sul palco e poi sempre meno, dopo che aveva perso la voce e l'amore al punto di arrivare troppo presto alla morte, sopraggiunta a soli 53 anni.
Questo tipo di biografie, figlie come sono dei giornali scandalistici, e loro studiata conseguenza, danno la misura del tragico che le vite troppo esposte recano con sé, un'esposizione crudele se anche post mortem ancora i corpi continuano a vivere in maniera burattinesca, negando ai loro possessori una dignità umana autentica.
È tragico come a fronte di una grossa dispensazione di armonia e di bellezza, poi, il bilancio di una vita sfavillante debba essere sempre valutato nei termini del disagio esistenziale, disagio che è della collettività più che del singolo personaggio, e che il personaggio incarna per assorbimento, per quella difficoltà di scrollarsi di dosso il bisogno di perfezione, un bisogno che dalle scene si trasferisce alla vita, e che nella vita non trova ricompensa, né compensazione alcuna.
In tempi differenti, che non fossero i nostri, basterebbe ascoltare la Callas attraverso le sue incisioni, e mai ci passerebbe per la testa di dovere spiare dal buco della serratura per comprenderla, come se la sua vita uguale alla nostra, almeno quella privata costellata com'era di dolore e di solitudine, fosse più importante del piacere che ci procurava ascoltare la sua voce. Una cosa inutile ma che dà la misura di come le democrazie occidentali abbiano usato il conformismo per illudere le persone di essere uguali, tanto da dover stare sempre a costruire nuovi altari ai personaggi sulla cresta dell’onda, oggi e ieri, per poterli poi abbattere, e potere lasciare le persone nell'illusione di avere una vita straordinaria, se anche Maria Callas è uguale a loro.
In America queste operazioni editoriali sono all'ordine del giorno, del resto basta guardare i canali monotematici italiani, canali monotematici di derivazione americana, e il bisogno e la voglia di trasformazione epidermici che anima, per esempio, la gran massa di obesi americani che, grazie al "terribile" dottor Younan Nowzaradan, si illudono di potere cambiare la loro vita con i bendaggi gastrici e la rimozione dei loro edemi giganteschi.
Certo Maria Callas divenne bella e glamour grazie alle diete e a Biki, pseudonimo di Elvira Leonardi, nipote acquisita di Giacomo Puccini, che ne aveva sposato la nonna e che amava chiamarla Bicchi, birichina, da qui lo pseudonimo, che trovò in Gabriele D'Annunzio la paternità finale e levigata. La stilista milanese era l’amica/confidente delle signore bene. Maria Callas la incontrò nel '51, nel salotto di Wally Toscanini e Biki la trasformò totalmente, ma la Callas a furia di diete perse anche la voce, e diventò ancora più infelice, e alla luce di questo pensare che un bendaggio gastrico possa dare nuove opportunità di vita a chi trascorre la propria giornata a letto, a mangiare, è talmente crudele da giustificare poi la pubblicazioni di questi libri, libri che in questo maldestro tentativo di renderla uguale a noi vanificano sacrifici, passioni, dolore e talento della Divina ma di chiunque.
Tutto questo per ribadire l’assoluta inutilità del film, e l'assoluta impossibilità per la Jolie, ma per chiunque, di essere la Divina Callas. Eppure l'attrice ne è posseduta fino al tormento, il suo non quello della cantante lirica, tormento che nel film appare evidente, tanto da stritolarla e stritolare con le lei tutti i protagonisti dell'operazione, operazione cinematografica in cui manca il sangue, quel sangue che scorreva nella voce di Maria Callas e che l'ha consumata fino alla morte.
È possibile un altro mondo se quello in cui viviamo è così?
Speriamo di si.
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