IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
02.06.2013 - 10:17
Sono stata ad un funerale. Ora che ci penso, sono stata a più funerali, a molti funerali. In chiesa, in qualunque posto geografico ti trovi, l'atmosfera e gli odori sono uguali ovunque. Cambiano gli affreschi o le statue dei santi, gli arredi degli altari, la quantità e la qualità dei fiori. Ho visto chiese superbe, dove la bellezza distoglieva l'attenzione dalle preghiere e dal raccoglimento, poi mi sono trovata in chiesette modeste, quasi nude nella loro scarna appariscenza. Lì, la parola del celebrante ti arriva meglio, l'orecchio è più vigile perché gli occhi sono concentrati sul poco. Poche le volte in cui, fin'ora, sono stata in prima fila (fortunatamente), molte quelle in cui sono stata in mezzo o indietro. Non è una messa qualsiasi, quella del funerale, le numerose nuche che hai dinanzi a te, inizialmente sono solo una massa, nel corso della celebrazione un po' ti commuovi, un po' pensi, un altro po' cerchi di dare un nome alle teste e ai capelli che hai davanti a te. Provi a capire le parentele, le inimicizie ricomposte, la rete delle conoscenze che aveva il defunto, e non puoi non chiederti a chi appartiene quella strana tonalità di rosso pompeiano prima della lava famosa. Sai, quel rosso disturbante che sembra una parrucca scadente? Oppure quel giallo zafferano orfano di patria e di modestia e infine ti capita pure, perché è proprio lì, davanti a te, di vedere una impietosa ricrescita di capelli banchi, e ti consoli perché tu il colore l'hai fatto, manco a saperlo, solo quattro giorni prima e chi sta appena dietro di te ti vede il capello a posto. Almeno nella retrospettiva. Poi ci sono, nelle chiese, quei sorprendenti e miracolosi raggi di luce, quei coni di sole, che entrano dritti ed alteri, come uno sguardo severo che scende direttamente dagli occhi di Dio. Un po', nei funerali, fanno impressione, ma danno alla cerimonia la solennità del sacro, che se te ne scordi, quel fascio polveroso e potentemente ecclesiastico te lo fa ricordare. Finita la funzione religiosa, si forma il corteo per salire là dove soggiornano quei meravigliosi alberi chiamati cipressi. Nei paesi come il mio si va ancora a piedi, un ultimo affettuoso e antico omaggio a chi ci ha lasciato. In città si usano le auto, si è più pratici, ma ci si perde l'occasione, durante la mesta 'passeggiata', di fare due chiacchiere con chi magari non vedevi da tempo e che per l'occasione viene da fuori. E qui, altra consuetudine che si pratica, fra il dissacrante bonario e il bisbiglio di traverso: gli sfortunati in prima fila sono quelli naturalmente addolorati, stanchi, accasciati. Più si va indietro, più cioè ci si allontana dalla 'morte', più ci si avvicina alla vita. Nelle seconde e terze file, infatti, si parla e si ricorda il defunto, si riflette sugli episodi della sua vita. Nelle quarte il ricordo è degli anni (molto) passati, qua e là viene fuori un ricordo un po' appannato e talvolta acidulo, nelle quinte si discute del tempo, delle stagioni strane, di quanto sia ingrassato tizio e quanto sia invecchiato caio, nelle ultime ci si chiede cosa si è mangiato a pranzo, o che è previsto preparare per cena, magari ci si scambia furtivamente e velocemente la ricetta. E forse, anzi senza forse, spesso ci scappa pure una risata. Ma dico che va bene così, ai funerali, in fondo, ci vanno i vivi. E portano le loro voci, le loro gambe, le mani, i propri giorni. Chi ci lascia forse ci vede, forse no, non lo so, ma ha fatto anche lui (o lei) le stesse cose, gli stessi pensieri, la stessa strada, la stessa esperienza. Così va il mondo, e così sia. Nei secoli dei secoli (P.s. Spero si colga, in questo mio scritto, la benevola e ironica irriverenza verso la situazione, naturalmente non verso i sentimenti).
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