IL MATTINO
AntichiRitorni
05.07.2015 - 01:33
Hector Le Roux, Scuola delle Vestali
Il culto di Vesta, antichissimo (forse derivato da una società matriarcale), fu introdotto a Roma dai Sabini. Il primo marzo di ogni anno (giorno in cui iniziava il calendario romano) con una fiaccolata si portava il fuoco dal tempio in ogni casa
«Tu non intendere altro che Vesta come viva fiamma; e non vedi alcun corpo nato dalla fiamma. Dunque è vergine per diritto, che non rende né prende alcun seme, e ama i seguaci della verginità» così il poeta latino Publio Ovidio Nasone parlava delle dea Vesta, nei “Fasti” (un’opera dedicata alle festività del calendario romano). Vesta era un’antica divinità italica, assai importante nel pantheon latino; sebbene fosse già venerata presso i Greci con il nome di Hestia, non rivestiva – tuttavia – per questo popolo la funzione imprescindibile che aveva presso i Romani. Difatti era di vitale importanza che il ‘fuoco di Vesta’ non si spegnesse mai (cosa assai infausta per la città, per cui il colpevole sarebbe stato punito con la morte), per questo era custodito da sacerdotesse vergini, scelte tra le più nobili famiglie romane. Il culto di Vesta, antichissimo (forse derivato da una società matriarcale), fu introdotto a Roma dai Sabini. Il primo marzo di ogni anno (giorno in cui iniziava il calendario romano) con una fiaccolata si portava il fuoco dal tempio in ogni casa; l’accesso al tempio era interdetto agli uomini, ad eccezione del pontifex maximus e delle vestali naturalmente. Se una di loro rompeva il voto di castità alla dea, la pena era la sepoltura, da viva, nella terra (pensiamo alla punizione di Rea Silvia, madre di Romolo e Remo), poiché, dato che Vesta era anche associata alla Terra, è come se “l’impura” venisse sotterrata in quello stesso elemento che aveva offeso. Ma Vesta era prima di tutto il nume tutelare del focolare domestico (riproduzione in piccolo del grande fuoco che proteggeva Roma e il suo impero) e, come spiega ancora una volta Ovidio, «nel pregare premettiamo Vesta, che occupa le prime stanze»; ossia la prima stanza della casa, subito dopo l’atrio, era il vestibolo (termine tuttora utilizzato). Perché il vestibolo è così chiamato? Spiegava il grammatico Servio, più di duemila anni fa, che la parola deriva da “vestit ianuam”, ossia ciò che “orna l’ingresso”, ed era la parte della casa consacrata a Vesta; per questo motivo le fanciulle appena sposate, ossia ancora vergini (almeno all’epoca!), non dovevano toccare la soglia; di qui la tradizione che lo sposo sollevi la sposa nel momento in cui si oltrepassa il ‘limen’ della nuova casa che la accoglierà, nella quale – cioè – avverrà il ‘passaggio’ da fanciulla a moglie e madre.
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