IL MATTINO
48 anni dopo
12.05.2023 - 18:03
“Peggio di non averla cercata, c’è solo non volerla ricordare” recita lo slogan dell’evento dedicato a Ottavia De Luise, tenutosi questa mattina presso l’istituto tecnico di Villa d’Agri.
La scelta di realizzare questo incontro in una scuola, per volontà del presidio di Libera Val d’Agri e dell’intera associazione, è stata sicuramente vincente e, soprattutto, di grande impatto. Infatti, in apertura, delle giovani studentesse hanno magistralmente interpretato un dialogo in cui era la stessa Ottavia a riportare la sua storia e a confrontarsi con Elisa Claps. Un parallelo molto toccante tra due storie simili, ma diverse. Lo stesso Gildo Claps, infatti, l’ha definita come una delle descrizioni «Più commoventi, delicate ed emotive che abbiano dedicato a Elisa». Un racconto che non poteva che provenire da giovani menti libere, scevre dal pregiudizio e, soprattutto, guidate dagli insegnanti e dalla scuola, che hanno saputo trovare la giusta chiave di lettura di un grave fatto di cronaca, trasformandolo in un momento di pura poesia.
Non è semplice, infatti, riuscire a parlare di una storia come quella di Ottavia, una bambina di soli dodici anni scomparsa nel nulla nel piccolo comune di Montemurro, di cui si sono letteralmente perse le tracce: al tempo, si parla del 1975, nessuno l’ha cercata nel modo giusto, nessuno ha voluto vedere il sudiciume che ruotava intorno a una bambina, probabilmente vittima di un gruppo di pedofili. Perché è importante che le cose vengano chiamate con il proprio nome, perché è necessario che gli abusi sui minori non vengano messi a tacere con le maldicenze a discapito di una giovane che non può più neppure difendersi. Le indagini compiute nel momento della sparizione sono state influenzate proprio dal pregiudizio: Ottavia era una “Scostumata, una che se l’era andata a cercare, una poco di buono”. E, invece, era solo una bambina che non aveva i mezzi per comprendere ciò che le stavano facendo.
È difficile pensare come, in una regione tanto piccola e poco abitata come la Basilicata, possano esistere dei fenomeni del genere. Le associazioni come Libera o Penelope, che si occupa di persone scomparse, riscontrano sempre una reticenza da parte di alcuni e una sorta di fastidio nel sentir parlare di tali eventi e nel vedere associato il proprio paese a tali racconti. La Lucania, purtroppo, non è un’isola felice e non è libera dallo spettro dell’omertà, un concetto che spesso si ricollega ad altri luoghi del sud Italia, ma che esiste anche qui. È per questo che la Presidente del presidio Val d’Agri di Libera, Camilla Nigro, è fermamente convinta della necessità di svolgere queste commemorazioni proprio nel territorio in cui tutto ha avuto inizio: «È importante parlarne là dove tutto ciò ha avuto luogo. Il prossimo anno vorremmo provare a organizzare questa commemorazione a Montemurro, ci abbiamo provato già quest’anno, ma non è andata bene. Noi non ci arrendiamo».
Fondamentale, in questo senso, è anche il ruolo della stampa, come ha ricordato il giornalista Fabio Amendolara, autore (con Emanuela Ferrara) dell’unico libro inchiesta sulla scomparsa di Ottavia De Luise, “La colpa di Ottavia. La bambina che nessuno ha cercato”, il quale ha ricordato che «La stampa ha un ruolo di controllo rispetto alle indagini. Non si può soltanto spiare dal buco della serratura, è necessario fare qualcosa di più, riscoprendo il giornalismo investigativo». È strano pensare che un fatto grave come questo sia rimasto insabbiato per anni e che in pochi ne abbiano voluto parlare: oltre al libro di Amendolara, troviamo soltanto un fumetto realizzato da un giovane artista lucano, Nicola Gagliardi, il quale ha trovato una chiave molto efficace e diretta per raccontare una storia tanto complessa e renderla fruibile anche ai più giovani. Suggestiva la scelta dell’immagine in copertina: «Ho deciso di rappresentare Ottavia come se fosse crocifissa al contrario, come Pietro che si riteneva indegno di essere crocifisso come Gesù. Allo stesso modo, in questo caso, è la comunità a ritenere Ottavia indegna, e a crocifiggerla».
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