IL MATTINO
campagna vaccinale
07.12.2021 - 15:03
«Se da studente avessi sostenuto che una persona che ha gli anticorpi contro un'infezione rischia di ammalarsi come un'altra che non li ha, se avessi detto che averli o non averli è la stessa cosa, mi avrebbero bocciato». Nino Mazzone, fra i medici italiani contagiati durante la seconda ondata di Covid-19 (nel novembre 2020 si ritrovò ricoverato dalla sera alla mattina nel reparto che dirige all'ospedale di Legnano, nel Milanese), è convintamente pro vax e pro pass, ma anche fermo nel dire che i guariti potrebbero non avere bisogno di vaccinarsi a breve termine per proteggersi da un virus che hanno già conosciuto. E all'Adnkronos Salute torna a denunciare «L'obnubilamento delle menti, la visione cieca e ostinata», che porta il Comitato tecnico scientifico per l'emergenza coronavirus e le autorità sanitarie a sostenere l'inutilità del test degli anticorpi anti Sars-CoV-2. «Da un anno - ricorda il primario, direttore del Dipartimento di Area medica, Cronicità e Continuità assistenziale dell'Asst Ovest Milanese - sosteniamo che i pazienti guariti da Covid sviluppano un'immunità drammaticamente diversa dai vaccinati, una protezione robusta, duratura e di alto livello. Da un anno ci battiamo perché venga eseguito il dosaggio degli anticorpi prima di decidere se somministrare o meno il vaccino ai guariti. Ma siamo stati derisi e insultati, nonostante lo studio che abbiamo pubblicato su 'Jama Internal Medicine' a fine maggio e che dimostra come, a distanza di un anno, i tassi di reinfezione nei guariti siano inferiori all'1%. Dati confermati da altri gruppi anche su 'The Lancet'" e soprattutto dai fatti: «Ad oggi, di gente che si è riammalata di Covid dopo essere guarita, nelle rianimazioni non c'è traccia», assicura Mazzone. «Da un anno - incalza - sosteniamo quello che in questi giorni ha detto pure Robert Redfield, fino a pochi mesi fa a capo dei Cdc americani: il test degli anticorpi va fatto, anzi di più. Va reso obbligatorio con scadenze a 3 o 6 mesi», ha affermato Redfield che fissa anche delle soglie di sicurezza. «Calcolo il livello minimo di resistenza fra i 300 e i 500 anticorpi senza altre patologie», ha spiegato in un'intervista a 'La Repubblica', mentre a quota 1.000 anticorpi si è molto più sicuri anche in caso di altre malattie concomitanti. Se si va sotto, serve "ubito un booster che può riportare gli anticorpi fino a circa 2.500 e oltre. Ma se si resta sopra no - precisa Mazzone - che rilancia il suo appello: Le politiche vaccinali vanno mirate sulla base dei dati che emergono, per evitare il rischio di sovratrattamento e di potenziali effetti collaterali da vaccino che - avverte - in chi ha già gli anticorpi compaiono più spesso». «Confrontiamo le vere differenze cliniche tra chi ha l'immunità naturale e chi quella acquisita», insiste l'esperto: «Tasso di reinfezione, ospedalizzazione, gravità dei sintomi, accessi in terapia intensiva. Questi - conclude il primario guarito, e vaccinato secondo le indicazioni ministeriali come ci tiene a far sapere - sono i dati che adesso ci servono per permetterci di usare meglio l'arma essenziale del vaccino. Perché continuiamo a non capirlo, giustificando comportamenti di politica sanitaria che non reggono più, una volta finita l'emergenza? Fate decidere ai medici, in base alla storia clinica e al dosaggio degli anticorpi, in base alle evidenze, se una persona ha diritto o non ha diritto al Green pass».
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