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Coronavirus. Tra smart working e lezioni online, la storia di due giovani lucane che hanno deciso di non tornare a casa

«Scendere in Basilicata non mi sembrava la soluzione migliore per la mia famiglia e il mio paese d'origine»

Coronavirus. Tra smart working e lezioni online, la storia di due giovani lucane che hanno deciso di non tornare a casa

La Basilicata vive da anni una “moderna Odissea”, quella di vedere andar via molte delle sue giovani menti. Alcuni universitari scelgono gli atenei del Nord, prediligendoli a quelli del meridione e subito dopo la laurea alcuni spiragli lavorativi concedono speranza, lì al Nord lontano da casa. Nel 2018 sono andati via dalla Basilicata più di 1.700 giovani tra i 18 e i 30 anni, quegli stessi ragazzi che in grande percentuale hanno deciso di ritornare in Lucania subito dopo l’annuncio delle misure straordinarie del governo contro la diffusione del coronavirus. Abbiamo contattato due lavoratrici lucane che al contrario non sono ancora tornate a casa in questi giorni difficili e combattono contro la malinconia e l’ansia tra smart working e lezioni online.

Daniela, 30 anni compiuti in "quarantena", originaria di Montescaglioso, da un anno vive a Milano. Laureata in legge, dopo anni di ricerche che non l’hanno soddisfatta, ha deciso di spostarsi al Nord dove lavora stabilmente.

La Lombardia, "l'epicentro" dell'epidemia. Raccontaci queste settimane.

«Milano in queste settimane è diventata via via una città deserta ed è completamente diversa dal comune immaginario collettivo, caotica e cosmopolita, tutto questo fa un po' paura o meglio, destabilizza. Si è passati nel corso delle settimane ad una desolazione sempre più intensa e non c’è più nessuno per le strade».

Come è cambiata la vita in queste settimane?

«La vita è cambiata radicalmente già a partire dalla sfera lavorativa con l’utilizzo, da parte di molte aziende ma purtroppo non tutte, del lavoro da casa. Si è completamente limitati anche nel fare la spesa, come giusto che sia. Sono ovviamente limitatissime le interazioni sociale ma al tempo stesso sono aumentate le interazioni “telematiche” con l’utilizzo di videochiamate di gruppo che aiutano a superare le barriere erette da questo virus e a farci sentire meno distanti. Attualmente la mia azienda sta utilizzando lo smart working per fortuna».

Perché hai deciso di non tornare a casa, in Lucania?

«La decisione di non tornare è stata dettata dal buonsenso. Avendo dei genitori un po' avanti con gli anni e, avendo qualche possibilità di aver incubato il virus, non potevo scendere e “infettare” i miei cari e la mia comunità».

Concetta, per tutti Cetty, originaria di Miglionico, da più di 2 anni vive a Pesaro, tristemente balzata agli onori della cronaca per i numerosi casi di contagio. Cetty è un’insegnante di lingua spagnola, come tanti “spedita” lontano pur di praticare la propria professione, in attesa del maxi concorsone.

Pesaro, un altro importante centro "preda" dell'epidemia. Come avete vissuto questa repentina ondata di contagi?

«Quando il 26 febbraio Ceriscioli ha dichiarato la chiusura delle scuole marchigiane fino al 3 marzo sembrava una decisione di certo sicura e preventiva ma non avrei mai immaginato come la questione si sarebbe trasformata in poco tempo in emergenza nazionale. Dopo il "duro" confronto tra Ceriscioli e Conte (chiudi apri le scuole) il contagio nella provincia di Pesaro Urbino è diventato "virale”. Io lavorando a Pesaro come insegnante sono rimasta qui, ma avevo preso la decisione di non tornare in Basilicata già prima del decreto zona rossa. I contagi qui nelle Marche erano già aumentati in pochi giorni, cosa molto preoccupante nel vedere la velocità con cui si è manifestato nella sola provincia marchigiana, e tornare in Lucania non mi sembrava la soluzione migliore per la mia famiglia, soprattutto i miei nonni, che avrei "obbligato" alla quarantena o messo in pericolo visto che molti possono essere asintomatici al virus».

La giornata tipo di una prof. ai tempi del coronavirus?

«Noi insegnanti ci siamo ritrovati catapultati in classi virtuali in un ruolo "digitale " tra piattaforme e video lezioni, connessioni che si interrompono, video tutorial, link per aiutarli a seguire. Per i ragazzi secondo me, se all'inizio poteva sembrare un modo del tutto nuovo e rivoluzionario e anche divertente, per molti adesso restare davanti ad uno schermo tra le varie materie da seguire non avere un confronto e un aiuto diretto in classe può diventare estenuante. Riuscire a trasmettere le nozioni da uno schermo ad un altro per noi insegnanti è deprimente, anche perché penso che i ragazzi non siano vasi da riempire ma fuochi d'accendere e trasmettere loro la passione per la materia attraverso un display non è certo una soluzione plausibile ma che in questo momento è l’unica possibilità per aiutarli, quindi cerco di trasmettere loro serenità. Ci daremo del tempo per riflettere quanto sia importante la semplice quotidianità e sperare che alla fine tutto andrà bene».

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