Cerca

Il caso

Il cortocircuito è servito: l’Anpi processa pure Carlo Levi

Ad Aliano basta una foto con la direttrice del turismo israeliano per scatenare l’indignazione: l’Anpi arriva a chiedersi se la Basilicata sia «ancora degna» di ospitare le spoglie dello scrittore di Cristo si è fermato a Eboli

Il cortocircuito è servito: l’Anpi processa pure Carlo Levi

Succede solo in Basilicata, dove il nome di Carlo Levi è sinonimo di memoria antifascista, l’Anpi riesce nell’impresa di trasformarlo in un pretesto per una polemica ideologica. Mentre nel mondo si consumano tragedie vere – una guerra in Medio Oriente, uno sterminio di civili, una carestia indotta, giornalisti eliminati per il solo fatto di raccontare – in Lucania si litiga per una foto scattata ad Aliano, accanto alla tomba di Levi, con il sindaco e la direttrice dell’Ufficio nazionale israeliano del Turismo. Una foto, appunto. Ma per Maria Rosaria D’Anzi, presidente provinciale dell’Anpi di Potenza, quella foto è già una bestemmia. Il comunicato parla di «indignazione profonda», di «immagini e parole che ci costringono a chiederci se la nostra terra sia ancora degna di ospitare le spoglie del grande scrittore torinese». Tradotto: per l’Anpi, il solo fatto che un sindaco stringa la mano a un rappresentante israeliano e annunci una «fruttuosa collaborazione culturale» sarebbe una sorta di tradimento della memoria antifascista. È il punto in cui l’antifascismo militante si trasforma in tribunale ideologico. Levi, che fu confinato ad Aliano perché antifascista, oggi diventa strumento per una battaglia politica contro Israele. L’orrore per la guerra, per le vittime civili, per i giornalisti uccisi, viene usato come grimaldello per dire al sindaco di Aliano cosa può o non può fare, con chi può o non può collaborare. Un modo di intendere la democrazia che fa venire i brividi: perché se la libertà di stringere mani e fare accordi culturali deve essere sottoposta al vaglio ideologico dell’Anpi, allora siamo al pensiero unico. E qui sta il cortocircuito. L’Anpi, nata per difendere la libertà, arriva a chiedersi se sia giusto che la tomba di Levi resti ad Aliano, come se le spoglie dello scrittore fossero di sua proprietà. Una sorta di damnatio memoriae postuma per punire un sindaco che non si allinea. D’Anzi non si limita a contestare la politica israeliana – legittimo, ci mancherebbe – ma arriva a mettere in discussione la storia e il legame tra Levi e il paese che lo ha accolto. Il nemico ora è chi non sposa una certa lettura del conflitto israelo-palestinese. E così Aliano, il paese che Levi fece conoscere al mondo, diventa campo di battaglia di un’ideologia che tutto giudica, tutto sanziona, tutto divide. Alla fine resta un dubbio amaro: davvero Carlo Levi avrebbe approvato questa guerra ideologica sulla sua tomba? O avrebbe piuttosto ricordato che la cultura, il dialogo, perfino il turismo sono strumenti per capire il mondo, non per chiuderlo a chiave nel recinto di un’ideologia? 

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione