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Emilia Pérez e dell'impossibilità di essere tranchant

Emilia Pérez e dell'impossibilità di essere tranchant

Emilia Pérez è il film con il maggior numero di candidature agli Oscar di sempre, sono tredici le nomination, nel mentre ha già trionfato a Cannes e ai Golden Globes, e la cosa non deve stupire.
È questo un film che pesca in tutti i generi cinematografici e letterari da essere una fucina, soprattutto perché racconta della vita e della difficoltà di aderire agli schemi di genere e sociali, e della necessità di sovvertirli, cambiando registro etico per abbandonare le vie del male per quelle del bene. Il finale è drammatico ma anche salvifico, ed è un finale cui il regista e gli attori tutti ci hanno preparati dall’inizio, dal momento in cui Rita Mora Castro, avvocatessa di talento, sfruttata intellettualmente dal proprio capo, incontra Juan Manitas Del Monte, narcotrafficante, in crisi d'identità, ma talmente lucido da avere pianificato il futuro, quello che è insondabile per ognuno di noi, ma che invece nel finale non appare come rivelazione ma proprio come conseguenza di ogni sua azione.
Il cinema, come sempre, dà scacco matto, riuscendo a coniugare tematiche sociali, economiche e morali, in maniera così precisa da farci chiedere come ancora il mondo non vada nella direzione dei film costruiti per il grande pubblico, ma che sanno invitare a pensare.
E fin qui tutto bene, almeno per chi il film lo ha visto e lo ha apprezzato e per chi lo ha premiato.
Solo che questo film tratto dal romanzo” Écoute” di Boris Razon ha innescato un'enorme serie di polemiche in Messico, il film è ambientato lí, e non solo. E se nel libro il boss alla ricerca di sé e della nuova identità è abbozzato, nel film Jacques Audiard lo fa diventare il perno, al punto di scardinare il concetto stesso di violenza criminale per una più pacifica e pacificata, femminile, transizione di genere.
La storia del narcotrafficante, che attua un processo di transizione e che ritorna in Messico da donna, dopo avere abbandonato il paese, diventando un difensore dei desaparecidos, sembra una figura troppo distante dalla realtà, sia per quanto riguarda il cambiamento di genere, il Messico è il secondo paese al mondo per gli omicidi che attengono alle persone transgender, sia per quanto riguarda i desaparecidos, al punto che è stata lanciata una petizione “No un premio mas a Emilia Pérez” da parte di Artemisia Belmonte, che ha perso la madre e gli zii, senza avere avuto più la possibilità di ritrovarli.
La richiesta dei firmatari della petizione è quella di non programmare il film nelle sale cinematografiche messicane, e le firme raccolte fin qui sono numerose, avendo superato le diecimila.
Il film benché sia una produzione francese è stato girato in spagnolo, ma anche in questo caso ci sono state delle rimostranze perché il linguaggio è lontano della realtà, che è violenta ma non alla maniera narrata e parlata dal film.
Non è servito sottolineare che il film è un prodotto nuovo e quindi un’opera che non c’entra con il quotidiano, come ha fatto Jacques Audiard, il regista co–sceneggiatore del film, le polemiche non si sono fermate, tanto da toccare anche la bravissima Karla Sofía Gascón, la prima attrice transgender ad arrivare fino a Cannes. Non è una neofita la Gascón, ha alle spalle una carriera nel mondo delle telenovelas, e come la protagonista del film di Jacques Audiard ha un percorso di transizione consapevolmente maturato fin dall'infanzia. La ragione per cui la sua interpretazione è autentica e facilmente comprensibile, almeno per un pubblico che chiede al cinema impegno ma anche evasione, riscossa, consapevolezza.
Questo ruolo non solo le ha regalato la Palma d'oro a Cannes, come migliore attrice, ma l’ha resa un simbolo per tutta la comunità transgender.
Insomma c’è chi sostiene che la storia sia solo frutto di un’abile campagna di “melassizzazione” della vita dei transgender e dei percorsi dei cartelli criminali, presenti in Messico e in ogni dove e che il regista abbia abilmente “manipolato” il tutto. La conseguenza di questa operazione di alleggerimento sarebbe proprio quella di non potere operare, attraverso il film, un cambiamento. In questo risiederebbe il più grosso limite del film, che passando da un genere all'altro e da un cambiamento all'altro, con grande facilità, è destinato a non modificare nulla. La velocità con cui tutto si brucia, e si consuma, più che alla realtà farebbe pensare alla telenovelas, al punto che la stessa transizione di genere sembra più una puntata da soap, che un percorso esistenziale complicato, doloroso.
La realtà dei fatti sta nel mezzo e cioè nella possibilità di potere anche mitigare, attraverso la trasposizione cinematografica, realtà difficili e ancora totalmente incomprensibili per la gran parte degli esseri umani.
Una peculiarità del cinema, che talvolta preferisce denunciare sorridendo, per riuscire a parlare ad un numero di persone più ampio.
Ed infatti la commistione e la convivenza nel film di più generi serve anche a questo.
D'altra parte non è possibile un'evoluzione sociale se le spire della disperazione, del degrado, dell’incomunicabilità e delle differenze di genere opprimono ancora molti esseri umani. Eppure sarebbe peggio raccontare sempre e solo il nero del vivere, qualcosa che tende a fare regredire, pure chi in quel nero ci vive. Non a caso James Gandolfini, un esempio su tutti, che ha interpretato Tony Soprano, in una delle più famose serie criminali di sempre, andava dalla psicologa. A riprova di una difficoltà, oggi più di ieri, di stare sempre e solo con la stessa maschera in viso.
Poi è evidente che i cambiamenti siano molto più violenti e sanguinosi di come il film ce li racconta, come è evidente che difficilmente esista una Emilia Pérez redenta e lesbica o per sempre maschio (potrebbe anche essere così visto che maschio è nata e continua ad amare le donne) ma il film vale tutti i premi, tutte le polemiche, tutto il suo essere imperfetto e studiatissimo, tutta la sua propensione al thriller e al musical, tutta la sua fase melò e telenovelas, insieme, perché gli attori sono bravi e riescono ad essere pure convincenti, in luogo di una realtà più complessa e deficitaria ed è per questo che meritano il successo.
Il fatto che il film sia una produzione francese, con Netflix e Yves Saint Laurent che compartecipano (li avevamo trovati anche in “Parthenope” Netflix e Saint Laurent) dimostra che esiste un filo che dipana l'intera filiera cinematografica, filo che ognuno degli ammessi al suo confezionamento, i registi, devono gestire in un certo modo, in barba all’idea romantica ma antieconomica, che chi dirige un film sia "il magister". Esiste un mercato e il mercato è per la pacificazione non per la guerra, che si tratti di narcos e di transgender o di storie di ordinaria solitudine e follia.
E poi c’è un fatto di cui tenere conto e cioè che il cinema e la letteratura sono stati, grazie agli americani, un potente mezzo per affermare le quattro libertà di cui parlò Roosevelt nel suo discorso annuale sullo Stato dell'Unione, il 6 gennaio del 1941 e cioè: la libertà di parola, la libertà di culto, la libertà di non avere paura, la libertà dal bisogno.
Questo film in maniera imperfetta forse si attiene a tutto questo, può bastare.

77° Festival di Cannes
Premio migliore attrice a Zoe Saldana, Selena Gomez, Karla Sofía Gascón, Adriana Paz
Premio della Giuria

82° Golden Globes
Premio miglior film musicale o commedia
Premio miglior film straniero
Premio migliore attrice non protagonista in un film a Zoe Saldana
Premio migliore canzone originale

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