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L'intervista

Gianluca Piredda: dalla Sardegna a Vieste, il papà di Dracula e Freeman racconta come ha conquistato il mondo con il fumetto

Nato a Sassari nel 1976, Gianluca Piredda, già autore per Aurea di Dracula in the West (pubblicato su Lanciostory) e di Freeman (pubblicato da Skorpio), da oltre trent'anni è tra i più apprezzati sceneggiatori del fumetto in Italia e all'estero

Le sue storie sono state distribuite in più di venti Paesi del mondo,  tra cui Italia, Stati Uniti, Grecia, Turchia, Francia, Polonia, Danimarca, Brasile, Spagna, Argentina, Giappone. La sua  passione per la scrittura inizia da giovanissimo, a quindici anni, bazzicando le redazioni dei giornali locali e spedendo le sue storie qua e là.

Tra le novità fumettistiche di novembre, figura sicuramente "Il lupo di Bedburg", nuova avventura del mitico Dago (quasi cento pagine disegnate), scritta da Gianluca Piredda, disegnata da Luciano Bernasconi e pubblicata dall'editoriale Aurea. “Il lupo di Bedburg”, liberamente ispirato a fatti realmente accaduti nel Rinascimento, porterà il Giannizzero Nero in Germania e gli farà incontrare uno dei primi serial killer della storia.
Nato a Sassari nel 1976, Gianluca Piredda, già autore per Aurea di Dracula in the West (pubblicato sul settimanale Lanciostory) e di Freeman (pubblicato sul settimanale Skorpio), entrambi pubblicati in diversi Paesi esteri, da oltre trent'anni è tra i più apprezzati sceneggiatori del fumetto in Italia e all'estero; pensate che le sue storie sono state distribuite in più di venti Paesi del mondo, tra cui Italia, Stati Uniti, Grecia, Turchia, Francia, Polonia, Danimarca, Brasile, Spagna, Argentina, Giappone.
La sua  passione per la scrittura inizia da giovanissimo, a quindici anni, bazzicando le redazioni dei giornali locali e spedendo le sue storie qua e là. Nel corso della sua carriera ha conosciuto e collaborato con vere e proprie leggende del mondo del fumetto. Dal 1991 ha iniziato a pubblicare facendo brevemente capolino sulla rivista Comix, di seguito ha creato la sua prima strip intitolata Nelson & Kirby. La sua prima miniserie "importante" arriva nel 1997, e di lì a poco inizia a prendere contatto con gli Stati Uniti. Nel 2005 arriva Free Fall, fumetto che diventa subito cult e che viene definito il prototipo del thriller del XXI secolo.
Lavora per il mercato statunitense fino al 2015, anno in cui entra stabilmente nell’Editoriale Aurea. Dicevamo di Gianluca che è sceneggiatore di fumetti, ma non solo: è anche traduttore, giornalista di testate nazionali e internazionali, direttore di riviste importanti, producer radiofonico e televisivo, speaker, colto scrittore di saggi, romanzi e persino di un godibilissimo libro di cucina (Sardegna in Cucina, Iacobelli Editore).
Nelle sue storie ama fare riferimenti storici o leggendari, ha una vera e propria passione per le leggende e l'epica greca.
Autore sensibile, forte, dallo spirito indipendente (come la sua amata Sardegna), una vita nell'editoria e una carriera strepitosa, soprattutto se si considera che Piredda non ha ancora tagliato il nastro dei 50!
Ultimo, non ultimo... tra le innumerevoli pubblicazioni del nostro Piredda c'è anche "Chianca amara": cronaca a fumetti dell’eccidio di Vieste visto attraverso gli occhi di Dago; la potrete leggere ne “La roccia, il tesoro, l’errante”, ottantesimo volume di Dago Tuttocolore.

Gianluca come è nato il tuo rapporto con il fumetto? Ti ricordi il primo che hai letto?
Non lo so precisamente. Il fumetto mi accompagna da sempre, da quando ero bambino. I miei primi ricordi hanno a che fare con i fumetti che mi comprava mia madre quando ero piccolissimo e che mi leggeva alla sera. Di certo i primi erano quelli Disney – Topolino con i vari almanacchi – Braccio Di Ferro, Cucciolo, Soldino, i personaggi Warner, Corriere dei Piccoli e Giornalino. Poi sono arrivati i Marvel della Corno e, più grandicello, i Bonelli, gli Eura e le riviste d’autore come Corto Maltese e Comic Art, che leggevo già ai tempi delle medie…
I fumetti, lo dico sempre, per me sono stati (e sono) come le canzoni. Ogni momento della mia vita è stato scandito da una storia, un personaggio, un autore. Molte estati dell’adolescenza sanno dell’Eureka di Silver & Castelli, delle prime annate di Lanciostory e Skorpio che trovavo nelle buste, delle strisce delle Sturmtruppen di Bonvi e del Lupo Alberto e di molti altri.
E poi c’era Supergulp che ha influito molto nella mia vita.

Sei uno degli sceneggiatori più conosciuti e apprezzati, peraltro lavori su uno dei personaggi iconici del fumetto Dago. Quando hai iniziato, quali erano i tuoi autori di riferimento?
Ho avuto delle influenze eterogenee, non per forza legate soltanto al mondo del fumetto ma dalla narrativa in generale, dai libri che ho letto e amato, dal cinema, a volte dal teatro, e dal giornalismo. Ma parlando di fumetti, chi mi ha influenzato maggiormente è stato Pratt. Lui era l’avventura, la narrazione per immagini e non potrei pensare al fumetto senza pensare a lui. Ma anche Alfredo Castelli, senz’altro il più colto e raffinato tra gli sceneggiatori italiani, Silver e Bonvi da cui ho imparato i tempi comici, Stan Lee, che fu il primo a rivoluzionare realmente il mondo del fumetto americano, gli Argentini di Lanciostory e Skorpio. “L’uomo di Richmond”, per esempio, mi aveva folgorato, così come gli altri personaggi classici lanciati dai due settimanali, dall’Eternauta a Dago; e ho sempre guardato con ammirazione chi fa fumetto d’autore.

Parlando di giornalismo (sei anche una firma di giornali italiani e internazionali e hai anche diretto molte riviste), in che modo ha influito nella tua carriera autoriale.
Dal giornalismo ho imparato il gusto per la notizia. Se ci pensi, anche una storia di finzione è una notizia: stai riportando un episodio della vita di qualcuno, anche se quel qualcuno non esiste e il fatto non è mai accaduto. La mia formazione giornalistica mi torna utile per esempio in Dago, dove racconto spesso fatti realmente accaduti o devo descrivere la vita di persone esistite; ma anche con Freeman, su cui adopero la stessa filosofia: lo scopo della serie è raccontare uno spaccato della storia americana.
Dal giornalismo ho anche imparato la velocità di pensiero e di esecuzione: quando lavoravo per i quotidiani capitava spesso di dover consegnare un pezzo all’ultimo momento. Un pezzo buono, senza ripetizioni, errori, imprecisioni, che valesse la pena di essere letto. E dovevo farlo in fretta. Una dote che mi è tornata utile nel fumetto.

Come hai iniziato? Qual è stato il tuo primo lavoro nel mondo del fumetto?
Io ho iniziato scrivendo liberi e strisce pubblicati su piccole riviste e giornali locali. Ho pubblicato su Comix e sono stato uno degli autori indy degli anni Novanta. Nel 1999, dopo un decennio di gavetta, quando sono arrivato sul mercato americano con Winds of Winter. La storia piacque a Ben Dunn, che ai tempi era l’editore dell’Antarctic Press. Mi chiese di svilupparla in una graphic novel che uscì in una doppia edizione, regular e con CD musicale allegato. La copertina era di Bryan Talbot. Andò bene e l’Antarctic Press mi affidò Warrior Nun.

Hai mai avuto timore di non farcela? Quello dell’autore è un mestiere difficile e per certi versi precario…
Sì, e credo sia normale in qualsiasi ambito. Ma è proprio per questo che non ho mai voluto un Piano B: dovevo farcela…
Dago fa parte, a ragione, della storia del fumetto e negli anni il pubblico ha continuato ad amare le storie. Secondo te come mai (a differenza di altri personaggi che invece fanno fatica a restare in auge o addirittura vengono eliminati dalla linea editoriale) continua ad essere pubblicato con successo in tutto il mondo?
In primo luogo perché è stato creato da un grande autore. Robin Wood era una persona colta, curiosa, un narratore versatile e raffinato che ha saputo strutturare un personaggio di finzione talmente verosimile che non sfigura accanto a quelli realmente esistiti che spesso lo affiancano. Poi perché è un fumetto che mescola temi importanti con gli elementi dell’intrattenimento. È una formula che funziona.

Quanto è difficile per un autore confrontarsi con protagonisti così importanti, direi totemici?
Più che altro bisogna accostarsi a loro con rispetto, tenendo presente che non stiamo scrivendo le storie di una nostra creatura. Quindi, quel personaggio bisogna studiarlo bene, come bisogna studiare la personalità dell’autore che lo ha creato. Bisogna cercare di essere il più aderenti possibili con la versione originale, senza per questo snaturare il nostro stile. Ecco, il difficile è trovare questa giusta miscela.

Come si svolge il tuo lavoro? Quanto tempo impieghi per scrivere una storia?
Mi alzo presto e mi metto a scrivere subito. Non ho un metodo preciso, ma di certo non mi siedo al computer se non ho la storia ben strutturata in mente. A quel punto faccio degli schemi, appunto i dialoghi che penso che possano funzionare, o delle sequenze che reputo fondamentali. Poi porto tutto su computer in una sceneggiatura vera e propria.
Per quanto riguarda le tempistiche, come ti dicevo sono abbastanza veloce: se ho la storia in mente la scrivo in pochissimo tempo, ma personaggi come Dago o Freeman impongono anche un periodo di studio.

Immagino che adesso con internet la documentazione sia più agevole, ma non deve essere semplice anche perché Dago è ambientato in tempi lontani…
Sì, ma è una documentazione superficiale che può andare bene come base di partenza. Continuo a documentarmi su carta, su libri o enciclopedie.

Che rapporti hai con i disegnatori? In fondo è un vero e proprio rapporto di coppia e magari a volte si hanno visioni differenti.
Buoni. Con alcuni ho dei veri e propri rapporti d’amicizia, con altri un rapporto più formale ma in ogni caso è buono.
Chi vuole fare fumetto deve tenere a mente che a raccontare una storia siamo in due. C’è chi lo fa con le parole, scrivendola, e c’è chi la racconta facendo recitare i disegni. È un lavoro di squadra, come quando si compone o si suona una canzone: non si può stonare. Quindi, le visioni differenti sono normali, l’importante è confrontarsi, discutere e trovare la soluzione migliore per la storia che stiamo raccontando.

Hai mai conosciuto Wood o Salinas?
No, loro non li ho mai incontrati personalmente. Ovviamente Wood sapeva della mia esistenza, ma non ho mai avuto il piacere di conoscerlo.

Parliamo adesso di "Il lupo di Bedburg". Cosa succede in questa nuova avventura di Dago? Puoi anticiparci qualcosa?
“Il Lupo di Bedburg” esce il 10 novembre, pubblicato su Dago n. 318. Questa volta abbandono le ambientazioni italiane tipiche delle avventure di Dago che scrivo per Lanciostory e mi sposto in Germania, per fargli affrontare uno dei primi serial killer della storia, che uccideva in maniera atroce chi gli capitasse a tiro, compiendo atti di cannibalismo. Ai tempi si scatenò una vera e propria psicosi e la superstizione portò gli abitanti di Bedburg a convincersi che nei boschi vivesse un licantropo. Del caso se ne occupò anche l’inquisizione.
È un thriller rinascimentale di quasi cento pagine con Dago come protagonista. Mi sono divertito a scriverlo e sono felice che a disegnarlo sia stato Luciano Bernasconi, uno dei grandi Maestri del fumetto popolare italiano.

Continuano i tuoi successi all’estero e adesso è il turno di Freeman, il personaggio che hai creato per Skorpio, con la sua edizione brasiliana. Ce ne parli?
Il Brasile ha una bella tradizione fumettistica e i lettori amano il fumetto italiano. Sono felice di tornare in quel mercato e sono felice di farlo proprio con Freeman, che uscirà in volumi contenenti due storie per volta, arricchiti da redazionali storici. La serie sarà pubblicata dall’editore Da Rosa e da Lorobuono e c’è un’attesa che non mi aspettavo.
Al primo volume credo verrà allegata una stampa inedita di Vincenzo Arces.

Come è nato Freeman?
Freeman è stata la prima serie che ho creato per l’Aurea, per il settimanale Skorpio. Nasce dalla voglia di raccontare un western diverso, non incentrato su pistoleri o cowboy ma che fosse storico, che raccontasse uno spaccato di storia americana. Freeman non è solo la storia di Theo, il protagonista, ma dell’America del 1861, dei suoi mutamenti politici e sociali, della musica che nasceva in quegli anni e che veniva usata dagli altri schiavi per indirizzare i fuggiaschi verso la giusta direzione – verso la Terra Promessa, come veniva chiamata in codice – delle reti clandestine che si formarono per aiutare i fuggitivi, come l’Underground Railroad, della guerra appena scoppiata. E, nel corso delle sue avventure, riviviamo avvenimenti realmente accaduti e personalità realmente esistite. Theo, che a sua volta è un fuggiasco, da protagonista diventa comprimario della storia, che vediamo attraverso i suoi occhi.
Io e Vincenzo Arces, il disegnatore della serie, ci siamo trovati subito d’accordo sul fatto che la serie doveva avere un tratto classico come omaggio alla tradizione del fumetto italiano e argentino che ha caratterizzato sia Lanciostory che Skorpio.

Tra l’altro, tra poco arriverà la nuova avventura…
Sì, uscirà il 23 di novembre sul n. 2438 di Skorpio. È l’ottava avventura di Freeman e si intitola “Verso il confine”. Il confine è quello della Virginia, dove la serie è ambientata, con il Maryland. Ci avviamo verso la fine di questo primo ciclo di storie, che si concluderà con la dodicesima. Anche questa sarà di 48 pagine, come da tradizione, e ci accompagnerà per 4 settimane.

Che progetti nel tuo futuro? A cosa stai lavorando adesso?
Continuerò a scrivere Dago, Freeman e Dracula in the west, ma a questi si è aggiunta un’altra graphic novel storica di una novantina di pagine che è entrata in produzione da poco. È un progetto che mi porto appresso da un po’, con un personaggio femminile e un’ambientazione italiana nei primi del Novecento. Altro non posso dire.

C'è qualche personaggio per il quale ti piacerebbe scrivere storie?
Qualcuno c’è, anche della scuderia Aurea, ma al momento ho troppo da fare per pensarci. 

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