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L'evento culturale

Marco Brando a Lucera: il giornalismo oggi, un ritorno al Medioevo

L’autore ha mostrato il volto goffo e impreciso di una certa stampa che, soprattutto nel web, lancia “anatemi” a danno di secoli e secoli di cultura alta, un vero e proprio calembour di contraddizioni mistificanti

Saranno quei mille anni che separano la caduta dell’Impero romano d’Occidente (con la deposizione di Romolo Augusto nel 476 d.C.) dalle scoperte delle “Americhe”, a creare un varco spazio-temporale troppo vasto, nel quale si è finito per annidare stereotipi e luoghi comuni.

I medievalismi che sempre hanno caratterizzato gli studi storici del giornalista Marco Brando, sono ormai diventati dei neologismi che puntano il dito verso quella pratica talvolta dissacrante, altre volte denigratoria ma spesso anche elogiativa che vede nella così detta “Età di mezzo” un campo di battaglia di contrapposte visioni storiche. Saranno quei mille anni che separano la caduta dell’Impero romano d’Occidente (con la deposizione di Romolo Augusto nel 476 d.C.) dalle scoperte delle “Americhe”, a creare un varco spazio-temporale troppo vasto, nel quale si è finito per annidare stereotipi e luoghi comuni. Sono queste improprie attribuzioni che legano gli anni ormai divenuti “gli anni bui” a una narrazione che a tratti è cronachistica ma più spesso diventa bizzarra nell’attribuzione o riduzione del Medioevo a fatti e misfatti che vanno a definire episodi tratti dalla vita di Lady Gaga o riguardanti funzionamento della Metro di Torino e l’utilizzo del POS. Sono stati questi gli argomenti al centro del dibattito attorno al libro Medi@evo di Marco Brando che ospite del Circolo Unione e presentato da Alessandro de Troia e Antonio Antonetti di Gens Capitanatae, dei quali ha trattato ampiamente durante l’incontro lucerino; l’autore ha mostrato il volto goffo e impreciso di una certa stampa che, soprattutto nel web, lancia “anatemi” a danno di secoli e secoli di cultura alta, un vero e proprio calembour di contraddizioni mistificanti. È stato il Presidente del Circolo Silvio di Pasqua a precisare che spesso sono i titolisti a rendere “accattivanti” contenuti di articoli che languendo in sostanza, utilizzano slogan ad effetto per invogliare alla lettura. La serata nonostante le temperature rasentassero lo zero termico, ha visto un uditorio attento, scaldato fin da subito dalla verve dell’autore impegnato in queste mirabolanti sottolineature e a descrivere una Stampa che inneggia ad un medioevo favoloso quando tratta di fiere antiche, pali di sorta e tornei tra cavalieri ma che, con altrettanta virulenza taccia per “medievali” atteggiamenti riguardanti discriminazioni per distonie di genere, atteggiamenti repressivi, mobbing, e persino azioni politiche. Per rifarci gli occhi e lo spirito possiamo però guardare alle intuizioni dei grafici della Salerno editori di Roma che oltre a editare un prontuario di tipi sui quali riflettere, ne hanno amplificato l’originalità, utilizzando l’intelligenza artificiale per la bella copertina. Una spigolatura però mi fa interrogare sul finale, su quanti tanti colleghi giornalisti riescano a collocare l’origine di una professione così affascinante, in quel mondo miserevole e retrogrado, nel quale però la carta, i cartai e persino le prime “Cronache”, segnavano in cuna, la nascita della nostra incredibile professione.

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