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Mi ritorni in mente

Don Backy, “L’immensità” di un grande artista fuori dagli schemi

In quel periodo Don Backy era al Clan di Celentano, praticamente era una sorta di luogotenente del Molleggiato per il quale aveva scritto il testo di un suo grande successo “Pregherò” e col quale tra l’altro era comparso nel film “Totò, monaco di Monza” (insieme cantavano la sua canzone “La carità”)

Don Backy, artista a tutto tondo emancipatosi grazie al rock da un destino da conciatore di pelle legato alla tradizione della sua città, Santacroce sull’Arno, per diventare con notevole successo, attore, pittore, scrittore e disegnatore di fumetti oltre che ovviamente cantante. Un personaggio dello spettacolo di notevole spessore, penalizzato nella sua carriera per il suo carattere anticonformista e schietto, tipicamente toscano, ma soprattutto per essere fuori dai giri che contano per una scelta di vita e di libertà di pensiero. E la sua Immensità è qui

Il Sanremo del 67 fu uno dei migliori di sempre, c'era un cast di interpreti di livello con tanti brani che ebbero successo e che ancora oggi si ricordano. Ma ce ne è uno in particolare che si staglia da tutti gli altri, è un capolavoro assoluto, una gemma che brilla ancora a distanza di decenni, una canzone che ha entusiasmato e accompagnato generazioni per la sua melodia trascinante, per il suo testo intenso e per la sua bellezza intrinseca. Un brano che continua a regalare emozioni. Stiamo parlando de “L’immensità”. L’ha composta Don Backy, artista a tutto tondo emancipatosi grazie al rock da un destino da conciatore di pelle legato alla tradizione della sua città, Santacroce sull’Arno, per diventare con notevole successo, attore, pittore, scrittore e disegnatore di fumetti oltre che ovviamente cantante. Un personaggio dello spettacolo di notevole spessore, penalizzato nella sua carriera per il suo carattere anticonformista e schietto, tipicamente toscano, ma soprattutto per essere fuori dai giri che contano per una scelta di vita e di libertà di pensiero. In quel periodo Don Backy era al Clan di Celentano, praticamente era una sorta di luogotenente del Molleggiato per il quale aveva scritto il testo di un suo grande successo “Pregherò” e col quale tra l’altro era comparso nel film “Totò, monaco di Monza” (insieme cantavano la sua canzone “La carità”). Conosciuto al grande pubblico per alcuni dischi, era in attesa della grande occasione per spiccare il volo definitivamente. E l’opportunità al bravo Aldo Caponi (il vero nome), capitò dopo aver scritto “L’immensità” perché il pezzo venne selezionato da Gianni Ravera per partecipare al festival di Sanremo del 1967. A cantarla con lui, (a quei tempi era prevista la doppia interpretazione), Johnny Dorelli, già vincitore del festival col “Volare” di Modugno e molto amato dal pubblico per le sue qualità di intrattenitore e conduttore di “Gran Varietà”, programma radiofonico cult della domenica. Due artisti diversi fra loro per stile e storia professionale che sul palco del salone delle feste del Casinò sanremese, fornirono due esecuzioni diffrenti. Tipicamente da crooner, quella di Dorelli, interpretata nel suo inconfondibile stile confidenziale e sensuale, emotivamente più asciutta e vissuta quella di Don Backy, capace di dare un’anima al brano e di vibrare fisicamente al pari della musica che sale di tono. Il diverso approccio al pezzo peraltro, lo si può constatare dai vari video esistenti, ma soprattutto dal filmato della finale che venne recuperato anni dopo. Il mercato allora premiò la popolarità e la bravura di Dorelli (oltre un milione di copie), nel tempo però, la versione di Don Backy che comunque entrò in classifica, è diventata un longseller, un classico che regge l’usura del tempo, proprio perchè più sentito e più partecipato. Don Backy infatti vive la sua canzone in prima persona, in una simbiosi perfetta che ne esalta il testo e lo rende addirittura attuale. Ed è proprio questa la chiave del successo intramontabile de “L’immensità”, la particolarità che lo contraddistingue da tante altre canzoni di quel periodo. Quel trattare di temi universali (la solitudine, l’infinito..) e non di cuori spezzati e labbra da baciare è la differenza e al tempo stesso la caratteristica che fa di questo brano un pezzo moderno e non legato ai “favolosi Sessanta”. Sembra poco ma è tantissimo perchè gli consente di mantenere la sua immediatezza anche ai giorni nostri senza mostrare la polvere del tempo.

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