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Quel localino del professore a Venosa

Ha il merito di aver avuto la geniale intuizione di capovolgere, al tempo di Facebook, le dinamiche delle piazze virtuali, in un esperimento sociale che impone la materializzazione dei rapporti dove conta ancora la stretta di mano

Non c’è perdita nell’età che avanza. Solo cambiamento. Chi coglie questa sfumatura inizia già a vent’anni a stabilire amicizie e a preservarle per il resto della vita con l’idea di poter, un tempo, godere dell’ozio prezioso e del piacere dei ricordi.
Chi coglie questa sfumatura inizia a quarant’anni a raccogliere le storie dei propri luoghi e a metterle “in bella copia” per dare sostanza a quelle radici e per farne apprezzare il valore.
Chi coglie questa sfumatura inizia a sessant’anni a socializzare quelle storie e quei ricordi per inneggiare alle proprie radici e per tramandarle come un valore aggiunto.
Sullo sfondo Venosa, splendida cittadina della Basilicata, nel cuore del Vulture-Melfese. Patria del poeta latino Orazio Flacco e del madrigalista rinascimentale Carlo Gesualdo -ma anche del poeta Tansillo e del giurista De Luca- Venosa esprime in ogni monumento, in ogni strada, in ogni vicolo la cultura che nei secoli l’ha permeata fin dalla preistoria. Sanniti, Romani, Longobardi, Saraceni, Bizantini, Normanni, Angioini hanno voluto assaggiare questa terra e lasciare segni e testimonianze. In primo piano un Professore, venosino da generazioni -allievo dello storico e saggista potentino Tommaso Pedio- che da anni si occupa di scandagliare quei segni e quelle testimonianze in un incessante lavoro di scavo di archivi privati e pubblici con l’intento di rendere giustizia alla importanza della storia locale e soprattutto all’amore folle per la sua città. Agricoltore di nascita, ha imparato dai Salesiani il piacere per l’apprendimento che lo ha portato ad insegnare francese e poi lettere a generazioni. Grazie alla qualità della lungimiranza- pure acquisita dai Salesiani- a
vent’anni ha iniziato a costruire quei legami forti che tutt’ora lo gratificano, complice il ruolo di
attaccante nella squadra di calcio locale e la carriera da assicuratore. A quarant’anni, dopo gli studi universitari, pienamente convinto del potere della lettura, ha aperto la prima libreria di Venosa ed ha iniziato a pubblicare come editore le storie della sua terra, ad oggi oltre cento. A sessant’anni, dopo la pensione, ha acquistato un piccolo locale nel centro storico della sua Venosa. Pochi metri quadrati tappezzati di foto antiche dei luoghi d’infanzia, di locandine dei libri editi e di immagini degli illustri concittadini. Al centro una scrivania con un computer connesso ad internet e tutt’intorno sedie vuote come un richiamo di accoglienza. Il Professore arriva al “Localino” -come tutti lo chiamano- con la sua bici, la mattina presto e, per prima cosa, apre il portone per dare a tutti il segnale che anche quel giorno celebrerà il rito degli incontri. Alla spicciolata arrivano gli amici, i conoscenti, i curiosi. Perfino i turisti. Tutti a sbirciare e poi ad entrare e a chiedere, ad incontrare, a raccontare, a riposare, a sorridere, a volte a bere e a mangiare, a volte a rifugiarsi. Così quotidianamente la danza del tempo, dei giorni e dei ritrovi che diventano appuntamenti. Quando il Professore non può, qualcuno si incarica di prendere le chiavi per non spezzare la catena. Nel giro di pochi anni il “Localino” è assurto al rango di luogo di riferimento dei rapporti emotivo-relazionali di tanti personaggi, venosini e non, pensionati e non, professionisti e non, politicanti e non, che vi convergono per avere un ruolo nel dialogo culturale e sociale o anche solo per il gusto di declinare le novità del paese in una dimensione a tratti culturale. Una rinascente accademia o un’accademia di rinascenti dove si ragiona di memoria e di memorie, di storia e di storie. Un luogo unico. Quasi un sito di identità dove chi si ferma si emoziona e ritorna. Una maniera per allontanare qualsiasi idea plumbea della senilità e per scegliere la comunicazione quale alleato prezioso e insostituibile della qualità della propria condizione. Forse un’idea da brevettare per garantire un “servizio essenziale” a ciascuna comunità che intenda sopravvivere tramandando il piacere del proprio vissuto.
Al Professore, proprietario dell’ormai famoso “Localino”, il merito di aver avuto la geniale
intuizione di capovolgere, al tempo di Facebook, le dinamiche delle piazze virtuali, in un
esperimento sociale che impone la materializzazione dei rapporti dando la giusta importanza agli sguardi, ai sorrisi, alle strette di mano, all’interazione fisica in un luogo fisico. E per essersi inventato, in fondo, una nuova bella età della vita.
Quel Professore ha appena compiuto ottant’anni ed è mio padre.

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