IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
30.09.2018 - 09:47
Fernando Zucchi, "Disteso supino" (olio su tavola, galleria piziarte.net)
Provo ancora a comprendere perché certe sensazioni, dopo anni, si diano appuntamenti liberi ma cronologicamente esatti. Come se sotto la pelle fossero rimaste affezionate alle cellule, come se la fedeltà ad un ricordo misurasse con il tempo la sua devozione. Quando certe sensazioni si presentano così, bisogna saperle accudire. Non so dire se di anno in anno la densità si indebolisca o diventi meno vischiosa, non so dirlo, perché poi le cose si appoggiano continuamente e velocemente a quelle nuove, ma nella trappola emotiva delle cose vecchie comunque ci si ritrova integri. Quando io ero una bambina la scuola cominciava il primo di ottobre. La data era quasi canonizzata, rituale e certa, come poteva esserlo il giorno di Natale o quella del compleanno. Prima di arrivare al primo di ottobre, nei giorni precedenti, la liturgia comportamentale nella mia famiglia era rigida e psicologicamente preparatoria. Si riponevano le biciclette nel garage, mia madre mi portava a tagliare i capelli, si andava in città per comprare le scarpe, per rinnovare l’abbigliamento pesante adeguato alle altezze che si alzavano e, in un grande magazzino che si chiamava Standa, si completava tutto intero il corredo scolastico: grembiulini, cartelle, quaderni e penne. Ricordo ancora l’odore della carta dei quaderni nuovi, soprattutto quella degli album da disegno che avevano i fogli un po’ crespi, quelli della “Fabriani”, ricordo le gomme per cancellare che ad un certo punto, nel picco massimo di modernità audace per i miei tempi, diventarono morbide, trasparenti ma soprattutto diventarono profumate. Si erano così trasformate in piccoli oggetti di seduzione e di soddisfazione poichè ad ogni errore da cancellare corrispondeva un soffio di aria profumata che distingueva la tua porzione di spazio da quella di tutti gli altri. Il primo ottobre segnava la linea di demarcazione fra la spensieratezza e il metodo, il gioco e la disciplina. Io ricordo che affrontavo i primi giorni supportata da un modesto compromesso fra l’ansia e la stabilità, questo perché tutti i componenti adulti della mia famiglia erano insegnanti e sapere che in un’aula a fianco alla mia potesse esserci mia madre, mio padre, mio nonno o uno degli zii, mi dava quella percentuale di fisiologico estraniamento che non mi faceva soffrire troppo. Da grande ho poi definito la convinzione che comunque, proprio per quella situazione, io fossi sempre sotto una lente di ingrandimento che mi metteva in uno stato di competizione con me stessa e, col tempo, questa cosa non penso mi abbia fatto bene. Comunque, quando arrivano questi giorni di inizio autunno io sento arrivarmi dentro una specie di respiro caldo, simile alla sensazione di una protezione invisibile, ad un momento del vento che speri non ti graffi le faccia. Forse è la voce di una parte della mia anima bambina, forse è solo la concreta consapevolezza della malinconia adulta, ma quando guardo le foglie che cadono mi ricordo subito di quelle bellissime del nostro giardino, quando guardo il taglio dolce del sole mi ricordo di me che nella mia cameretta, segretamente, scrivevo abbozzi pseudo poetici e drammatici, poi guardo i tramonti e mi vengono in mente le domande irriverenti che facevo a mia madre su Dio. Avverto tutto intero e tutto ingombrante il peso della cartella fra le dita, solo che adesso, meno sentimentalmente, il peso lo chiamo vita. E quando abbraccio la mia nipotina con il suo zaino colorato e super tecnologico zeppo di penne di tutti i colori, i libri multitasking, gli astucci che sono quasi dei kit di sopravvivenza, mi dico che di uguale è rimasto solo il grembiulino. Che il tempo è passato, che ottobre è pieno di sensazioni che sono puntuali e recidive, che qualcuna di queste sensazioni fa ancora male e qualcun’altra meno, che c’è un prima in cui si rincorre tutto e un dopo che lascia tracce meno scavate e un po’ più dolenti. Certe date non sono solo numeri, sono costruzioni della memoria, depositi per ordinare gli avvenimenti, rinvii a momenti fortemente emotivi che ci hanno segnato. Ed ecco perché certe date sono ancora necessarie: per ricordare a noi umani che dovremmo ancora sentire il bisogno di fermarci, condividere e, solo per dare un po’ di aria al cuore, di celebrare i sentimenti.
edizione digitale
Il Mattino di foggia