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I pensieri dell'Altrove

La buona vena dell'anemia

Le cose quando sono diluite o annebbiate non mi appassionano troppo perché non mi appaiono lucide. Preferisco stare nel nucleo denso delle emozioni

La buona vena dell'anemia

Vittorio Corcos – Sogni

Da circa due ore avevo trovato la vena della leggerezza dispersiva. Niente concentrazioni congestionate di idee, nessun dolore appuntito, il respiro regolare e stabile. In una bolla di banalità piatta, inodore e informe, stava distesa senza alcuna eleganza una forma polverosa di noia. Stava lì, come un ingombro di passaggio che sapeva di doversi spostare, allentata e priva di carattere. Una noia pigra, ignorante, incapace di guardarsi attorno, sciatta nel suo torpore eppure insoddisfatta della sua indifferenza. Da circa due ore il tempo scorreva senza interesse in questa vena fluida aperta e vaga, senza passione e senza progetti. Pareva un tempo senza elettricità nervose, un luogo sospeso da attenzioni ansiose e questo era garanzia di una separazione dalle verifiche, dal male sottile, da impronte da analizzare. La tiepidezza di un contorno sbiadito, che non richiedeva cure o assistenze d'amore, poche energie e scarsamente distribuite. Non so dire se mi piacesse, le cose quando sono diluite o annebbiate non mi appassionano troppo perché non mi appaiono lucide. Preferisco stare nel nucleo denso delle emozioni e magari esercitare la volontà di prendere un centimetro di distanza di sicurezza, preferisco scoprire e scavare, preferisco scolpire, sottrarre, ma avere materia viva su cui poggiare le mani. La vena era tonica, un buon flusso disponibile, generoso e scorrevole. E intanto la leggerezza si era addormentata, la dispersione si era persa, la noia si era svuotata. Avevo trovato una buona vena, si lasciava guardare mansueta e docile, silenziosa e sommessa. Troppo accondiscendente, troppo in caduta. E infatti, ad un esame attento, presentava un principio grave di stanchezza e una portata scarsa di necessario ossigeno. Sembrava avessi trovato una buona vena. Ma non era abbastanza sanguigna. Così, da sola, si é anemizzata.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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